Intervista con Andrea Zaccariello "Ci vediamo domani"




Capita di recensire un film, capita che il regista dello stesso capiti su queste pagine, capita di discuterne e capita che ne esca fuori un'interessante intervista... capita, grazie ad Andrea Zaccariello per la disponibilità, a voi:

Partiamo ovviamente da "Ci vediamo domani" che per noi ha l'incipit della commedia, che serve per innestare altro, tanto... una vera e propria critica sociale, con una grande varietà di toni e atmosfere ma soprattutto quello che più ci è piaciuto è lo sguardo propriamente filmico che hai dato... in termini di immagini, inquadrature,  non è una commedia  e basta, black quanto vogliamo... c'è sicuramente insomma  di più, in termini di messaggio e c'è soprattutto un'idea forte e una visione autoriale

Questo è proprio ciò che mi interessa: la commedia è un genere che più di altri può conciliare il desiderio da una parte di raccontare la vita - paradossi, drammi, gioie, solitudini, speranze - e dall'altra di soddisfare l'esigenza del pubblico che ha secondo me voglia di provare ancora emozioni "non digitali", che si tratti di risate o commozione. In tempi duri come questi mi pare incredibile che la scelta del nostro cinema sia quasi esclusivamente tra farse o drammi. La commedia è cinema con la C maiuscola e io mi sento perfettamente a mio agio come autore a seguire questo percorso. L'ho sperimentato con i miei corti, e ora vorrei proseguirlo nel lungo.

Passando in rassegna gli interpreti del film, crediamo tu sia più che soddisfatto del lavoro fatto:

Enrico Brigano ha offerto una prova "intima", quasi di sottrazione, emozionale e riuscitissima, a parte diciamo qualche concessione al suo background... che in fin dei conti è ampiamente giustificabile...

Vedo che capite benissimo; qualche concessione è stata richiesta e forse era anche necessaria. Con Enrico avevo già individuato quelle corde che magari lui non aveva mai mostrato così chiaramente (in certe fiction appena accennate, ma non ce la fai proprio, l'intensità non la raggiungi se sotto non c'è quanto meno una dinamica narrativa intensa). La prima volta che ha visto il film ha detto che non si era reso conto di quello che avevamo fatto e questo per me è stato un implicito riconoscimento del lavoro svolto. Quello che vorrei dire è che il regista è ovviamente importante nel cinema per tirar fuori da un attore tutto quello che ha, ma non solo nella direzione sul set; anche al montaggio, fase poco citata ma che vi assicuro può fare la differenza nella recitazione. Per usare un paradosso, se rimontassi il film con altri ciak rispetto a quelli scelti, ne rimarreste infastiditi. Non mi riferisco ad errori, ovviamente, ma a vere e proprie differenti interpretazioni da parte sua.


Francesca Inaudi è più mimica, lavora di sguardi, tralasciando il fatto che Francesca a parer nostro è un'autentica fuoriclasse, nella parte finale in auto i due sembrano riconciliarsi, non è un pò troppo consolatorio?


Posso capire che dia quell'impressione... In realtà la cosa che interessava molto a me e a Paolo era che nella prima vera occasione in cui Marcello non pietisce più le attenzioni di quella che è sempre stata per lui una vera e propria ragione di vita (mi pare che molti uomini vivano e agiscano quasi esclusivamente per ottenere l'approvazione della propria donna) beh, in quel momento, quando lui dice "va bene, sarà per un'altra volta" lei, più insicura di lui, apre un file, quell'opportunità di ricupero magari ancora lontana, ma che intanto lei concede perché percepisce che lui ha trovato una strada sua. Come molti hanno notato (anche voi) non è una vera e definitiva riconciliazione.... dipenderà da quanto Marcello è cambiato veramente e da quanto Flavia si renderà conto che non è cercando illusorie sicurezze materiali che si trova non dico la felicità ma almeno qualcosa che le assomigli. E comunque per chiudere su Francesca lei è veramente in grado di dare emozioni con niente, a me piace molto. Una definizione non mia su di lei che condivido in pieno è: sempre più Audrey Hepburn ma con lo sguardo di Nicholas Cage. 

 

Ricky Tognazzi è sgradevole il giusto, anche nella sua interpretazione c'è quasi un senso della misura... 

Anche lì ho inseguito la misura che secondo me è necessaria nella commedia che sia degna di questo nome. Mai macchietta, Ricky mi ha seguito con grande disponibilità, addirittura accettando di togliersi la barba. Ricordiamoci che lui è principalmente un regista, lui stesso dice che fa l'attore solo in alcuni casi, non ci si sente pienamente. Pensa che alla fine non era convinto di aver fatto bene. A mio avviso è stato perfetto.

E naturalmente il mitico Burt Young, straordinario... come siete arrivati a lui e perchè?

Avevamo contattato altri grandi vecchi che erano stati disponibili e felici di accettare: Omar Shariff, Pierre Richard, Ernst Borgnine... Poi abbiamo pensato che ci voleva... un contadino pugliese. E la naturalezza dello Starsberghiano Burt era quello che cercavamo.

 

Il tema della tolleranza tra le diverse etnie, oltre che in "Ci vediamo domani è presente"anche nel corto "Caffè Capo" è evidentemente un tema attuale e che ti sta a cuore... 

Guarda, direi che quello che mi sta più a cuore è "stanare" le verità tramite questo tipo di contrasti. A me e Paolo piace che siano quelli considerati "altri" a costringere i nostri personaggi a riflettere. In Ci vediamo domani sono tutti padroni! Il romeno all'inizio, i cinesi col camion, la prostituta, il bengalese proprietario dell'Intenet point, perfino la romena che lo seduce... Pragmatici, asciutti e sostanziali. Tutto il contrario di Marcello, che naviga sempre nelle paludi del "sogno americano", secondo me vera e propria rovina della vita di tanti (forse di tutti!).

 

Il corto è una forma breve per definizione, tu ti ci trovi molto bene, in "sei come sei" c'è quello riuscitissimo con il condannato a morte "tra i mondi" Luca Zingaretti, "La moglie" con Silvestrin e la Solarino che ci è piaciuto molto, soprattutto per "le false piste narrative" date in pasto allo spettatore...

Amo molto "giocare" col pubblico. Il corto permette di avere due aiuti fondamentali: un racconto sdoganato da un twist finale (che comunque è un "alibi" importante) e una grande libertà narrativa. Poi c'è il problema della distribuzione, cioè lo vedono in pochi e perlopiù ai festival dedicati, ma è un mezzo che amo. Ho provato a "giocare col pubblico" nella seconda parte di Ci vediamo domani e mi pare che dalle reazioni ci sia riuscito. Ecco, una cosa bella di Ci vediamo domani è stato guardare la Sala che guarda il film: le espressioni della gente, le risate, le sorprese, gli occhi umidi, la commozione e la gioia di una rivelazione...  Corto o lungo, non dovrebbe essere questo il cinema?

 

E restando in tema, questa collaborazione con Paolo Rossi (che ha scritto "Ci vediamo domani" con te e non solo) come nasce e ovviamente "cresce"... quale sono le cose che vi legano in particolare

Io e Paolo vediamo la vita e il cinema allo stesso modo: abbiamo una sana avversione per la modernità, intesa nel senso deteriore del termine, e abbiamo anche la convinzione che il pubblico... sia annoiato e non lo sappia! Cioè, siamo convinti che se si riesce a dargli qualcosa di sensato e di emozionante, di ben fatto e coinvolgente, la gente possa anche resistere al Blockbuster per forza o alla farsa macchiettistica travestita da cinema di contenuto. Forse c'è ancora spazio per emozionare davvero.

Un tuo giudizio sullo stato di salute del cinema italiano odierno... film, autori da consigliare eventualmente

Secondo me mai come oggi è facilissimo individuare dove sta il valore. Secondo me un autore va citato per il coraggio di fare quello in cui crede (chiaramente se ha la capacità di trasferirlo). Quindi mi permetto di non citare quelli che vanno dietro al mercato, nel senso meno nobile del termine. E ce ne sono di insospettabili, ex coraggiosi che oggi sono diventati un po' troppo furbi. Sono impauriti dalla possibilità di fallire, di rimanere a piedi; rischiano poco o niente e sono animati quasi esclusivamente dal desiderio di conferme e sicurezze da botteghino. Però non esalto e non cito nemmeno quelli che fanno un cinema troppo difficile da comunicare, quasi cercassero in un modo diverso per non "sporcarsi le mani" di ignorare la realtà del mercato dicendo: questo sono io e così è se vi pare. Anche quella una strana forma di alibi. Amo invece tantissimo gli autori che credono in quello che fanno, che rischiano e che cercano di raccontare al pubblico quello che davvero pensano abbia un senso. Ovviamente tenendo conto che il cinema è un mercato, questo è necessario e anche buono, non vorrei essere equivocato. Il punto è che se vai tu dietro al mercato o se, dall'altra parte, te ne sottrai... diventa difficile. Tre nomi? Sorrentino del Divo (chi avrebbe mai avuto quel coraggio, specie dopo un altro film che non aveva avuto un gran consenso?!) e di This must be the place, Garrone dell'Imbalsamatore e anche perché no di Reality (film non perfetto, retto da un grandissimo regista) e l'immarcescibile (e giovanissimo) Bellocchio di Vincere, un film lunare per coraggio e nitore delle intenzioni emotive più profonde.

 

Torniamo indietro... da "Boom" a "Ci vediamo domani"...  1998 - 2013, diciamo solo questo... riempi come più ti aggrada i puntini di sospensione 

Un film nato con prerogative imperfette, un omaggio alla commedia in tre episodi, un gruppo di "amici" che decidono di percorrere questo sogno insieme (il gruppo che inventava, scriveva e realizzava i più famosi spot dell'epoca) poi le star che avevano aderito (De Sica, Ferilli, Proietti) non chiudono, i creativi minacciati dai loro datori di lavoro che avevano paura di una possibile carriera cinematografica delle loro "galline dalle uova d'oro" scappano, e io resto col cerino in mano, con dei produttori improvvisati incapaci di darmi la più piccola sicurezza. Il film lo faccio e anche più che dignitosamente, ma il ruolo di capro espiatorio a quel punto non me lo leva nessuno. E in Italia se non hai rapporti più che consolidati, o peggio ancora se - come nel mio caso - finisci per diventare ingiustificatamente inviso a qualche pezzo grosso della distribuzione, poi ci vogliono anni per fare un altro film. Io ce ne ho messi quattordici. Fortuna che ho incontrato Giuseppe Pedersoli, un gran signore e un produttore che ama profondamente il suo lavoro.

 

Hai curato anche moltissime pubblicità... affinità e divergenze col mezzo filmico?

Credimi, divergenze non ne vedo. Una storia è una storia, a prescindere dalla durata: un assunto, uno sviluppo, un finale. Giratela come vuoi, ma è tutto qui. In trenta o quaranta secondi se vuoi fare una cosa bellina e non solo una marchetta per fare due soldi, devi lavorare come un chirurgo, anche due decimi sono importanti. E io ho avuto la fortuna di girare molti spot appartenenti a quella pubblicità non "aspirazionale" - per capirci non profumi, moda, auto o liquori - storie, piccoli film divertenti che mi hanno fatto appassionare al pubblico che guardandoli si divertiva e premiava la "verità" che cercavamo di metterci dentro.

Ultima inevitabile domanda, progetti per il futuro...

Vorrei continuare su questa linea: divertimento ed emozione, con un occhio sempre attento alla società, senza diventare mai professorale, ma raccontando noi, adesso. E comunque nella convinzione che esista un grosso "buco" nella nostra cinematografia, quello di un cinema che una volta chiamavamo "commedia" e che, distaccandosi dalla farsa furba e ammiccante, ha ancora molto molto da dire..

Commenti

  1. grande Zaccariello, interessantissima intervista, grazie shake!!

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