Artemixia Cor - As God Intended


Post grunge, hardcore, doom, sludge, trash e altre derivazioni del metal, senza dimenticare la lezione di grandi maestri del passato come  i Melvins, i Nirvana e andando ancor più a ritroso i  Black Sabbath o i Led Zeppelin.. e ci sarebbe altro da aggiungere in merito, ma l'originalità della proposta è salva comunque... e questo è un merito evidente, perchè divincolarsi dai riferimenti con tale maestria per rilasciare nuova linfa non è di certo facile e perchè è questione di cuore, di sincerità... e il cuore è pulsante e/è vivo tra questi solchi e in ogni caso, come lo si voglia etichettare questo esordio... (o dell'inutilità dei generi e delle etichette), l'importante è che stiamo parlando di un disco bello per davvero... e di un trio che in appena un anno (l'anno di formazione è il 2012) sfoggia un groove potente e ricercato, un "pastiche" di chitarre elettriche "originale", da erigere un muro sonoro tale e... "una voce"... beh ce ne fossero, come si suol dire, ma la potenza è niente senza la mano che la guida, perchè al di là di tutto c'è intelligenza nella composizione delle tracce e la potenza che la band rilascia non è mai fine a se stessa, è forma viva, pensante, che ben si amalgama coi testi e dal vivo trova il suo habitat naturale per esprimersi (li abbiamo visti già due volte, fidatevi):
Si parte con gli stop and go e gli intrecci chitarristici e la ritmica pesante e ben assestata di "This song for you", dalle tinte hardcore, si prosegue con il ritmo martellante di "Cores", nirvaniana con un bel solo di chitarra elettrica, "Eloquence of silence", è solenne e ricercata, con il suo alternare parti lente e "all'arma bianca", "Riding this wawe", il primo singolo estratto con tanto di appropriato uso dei  cori è una sorta di ballad hard rock alla Soungarden, ma senza ammiccamenti vari, "The veteran's deathbed", coi suoi riff abrasivi e convulsi, ha un sound scarno e marziale, con la chitarra solista di Giuseppe Di Giorgi sugli scudi, "The end of line" è oscura e "pesante", tra cambi di tempo e accenni quasi di trash con persino spiragli di melodia... una sorta di bignami metal, uno dei migliori brani del lotto, (dove Valerio Di Giorgi alle pelli, si esprime al meglio), così come il gioeliino "Make a wish", sinuosa e ammaliante, su un mood sospeso e sognante, ma sempre cupo e sinistro, con un cantato più che convincente, a dimostrazione delle possibilità vocali di Antony Mannone, capace di calarsi perfettamente anche in queste atmosfere e che potrebbe rappresentare un concreto esperimento per il futuro ed evoluzione del sound della band. "A chip on my shoulder" che chiude l'album,  è accostabile per certi versi a "The end of line" come dinamiche... dove trash e melodia (a tratti) convivono, ma alla fine risulta essere l'episodio forse meno riuscito, anche per la sua brevità e conseguente mancato sviluppo del brano in se. 
Otto tracce insomma, coese e dritte al punto, efficaci e convincenti, per gli amanti "del genere" ma anche non...  

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