Kape - Cliché



Oggi c'è un uso e abuso di elettronica, quella fatta bene ma anche quella fatta male. Kapeovvero Alessandro Sicardi – invece, recupera il sound anni '70 senza scimmiottare troppo, nel rispetto di quanto è stato già fatto e con buone dinamiche musicali. Sforna così “Cliché”, un album tutto in lingua inglese, prodotto da La Stanza Nascosta Records, affidandosi ai compagni di viaggio Danilo Mazzone e Stefano Grasso. Dance, rhythm and blues, ballad, sfumature funk, si dipanano per tutto il disco, con momenti veramente godibili, soprattutto nei ritornelli. Quello che poteva essere forse meglio equalizzato, è il suono, tutto sembra un pò compresso, come a venir voglia di aumentare l'audio a palla.


L'album inizia con “Tell Me The Truth”, sospettosa spinge sui bassi e la chitarra procede scanzonata tra vari 'stop and go'. I suoni sono un po' ovattati in cuffia, ma rilasciano comunque quel soul anni '70 d'Oltreoceano. Un “Black Coffie” con la ritmica martellante si libera in una strofa e in un ritornello molto aperti e “free”, con un buon giro di basso e il rhodes che poteva uscir fuori meno timidamente. In “Cliché Dance” Kape non abusa del sound che però aveva bisogno di essere più ficcante, in primis nelle strofe. Pezzo comunque ballabile in cui emergono piccole dissonanze che possono far solo bene. Lo stesso vestito minimal per “Red”, suadente nelle acustiche circolari su cui si adagia la voce sempre effettata di Kape in questo lavoro. Poi il chorus è molto melodico, da ballad ancora una volta anni '70, una di quelle molto “Bee Gees”.

“Girl, You Know” nasce come una folgorazione per il nostro, la ragazza “is beautiful” e balla nella testa di Kape su un rhythm and blues appena accennato, col piano che si muove liberamente. La seconda parte dà spazio all'assolo di acustica, un momento strumentale di cui un disco ha sempre bisogno. Nella poco distante “I want to be” si ritrova questo mood, con l'hammond che riesce a spaziare tra un boogie e un altro. I riff fanno il verso alla voce di Kape in “After the Moonrise” che è musicalmente indubbiamente il brano migliore, il più ricco e ben sezionato strumentalmente, dove anche i fiati trovano il loro luogo preferito. Nel bridge ci sono dinamiche alla Stevie Wonder mentre “Screaming out” vira verso le ballatone anni '50 e infatti l'effetto gracchiante da grammofono e la voce anticata ci danno ragione. 

Quel momento da “ballo del mattone” ma col ciuffo dei teddy boys innamorati e un po' boriosi. Pecca però un po' di piattezza nonostante nella seconda parte ci sia un crescendo che si perde nei giochi di note. La dance d'antan ritorna con “Monday Party” e la batteria riesce a descrivere lo stato ipnotico di una vita mondana... mentre le chitarre procedono nervose creando un manto. Altro brano da ballare con assolo di 6 corde acustiche. A chiudere “Cliché” è “I Got To Believe” che funkeggia dispettoso per tutto il brano più convincente nel chorus.



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