La sedia di Adriano Modica



“La sedia” è il capitolo conclusivo de La Trilogia dei Materiali, è stato registrato in analogico tra il 2010  e il 2012 nell'Ambulatorio Polifunzionale Mobile, studio di registrazione mobile di Modica,  presso le città di Reggio Calabria, Bologna, Pachino, Modica, Apricale, Brindisi, Lodi, Roma, Marsala e Londra.
“La sedia” è l'album del riavvicinamento all'essere umano, a se stessi, da qui la scelta di registrare a 432 Hz, vedi Scala Aurea."
Dalle note stampe giusto per darvi le coordinate, ma adesso parliamo noi... perchè se l'idea di viaggio è insita nelle registrazioni, siamo di fronte a un vero e proprio viaggio, immaginifico e metaforico, visionario e poetico, stra maledettamente "iper" reale "fra foto di noi che ridiamo e che mancano, stelle e mollette, scale per un cielo sempre uguale e meno male, divani, alieni... come a dire "Io è un altro"... Adriano Modica si riavvicina si all'essere umano, ma lo filtra accuratamente, lo guarda appunto attraverso "la bottiglia vuota" di Alieni, lo osserva, dalla sua "sedia" di legno forte" non con distacco ne con disprezzo perchè è anche lui alieno al tempo stesso e dunque umano più che mai e allora ecco che dentro c'entrano anche "Il divano... e le ninna nanne" ed ecco la cura nello sguardo e nel raccontare piccole storie che fanno un mondo intero.
Musicalmente il nostro affida la sua poetica sempre a una melodia portante di base folk pur fregandosene ampiamente di una qualsivoglia forma/struttura preconfezionata... (una poetica che ha l'incedere di un sogno lucidissimo per inciso, vivida... ) e che si dipana magistralmente "sempre" in un corpus eterogeneo e mai fine a se stesso, tutto è davvero "ben orchestrato" e ricco di suoni e trovate armoniche ma non tende mai a strafare ma ad inserire "quello che è giusto" (ogni intervento strumentale è pienamente centrato) per far si che "la canzone" cresca nella maniera più efficace. L'ennesima conferma di un talento purissimo e fra i nostri dischi dell'anno sicuramente: 

"Alieni" :"alla radio qualcuno sta provando a salvare l'umanità, c'è quasi riuscito, la pioggia risale il vetro" basta questa frase a immergervi nella poetica del nostro, con Duggie Fields coinquilino di Syd Barrett nel '69, appunto alla radio... ma ci piace vederci anche una citazione di Orson Wells al contrario direttamente dalla Guerra dei Mondi... uno sguardo altro insomma in ogni caso come "da un vetro di bottiglia vuota", "tutti verdi e più gentili ma anche lenti e blu"... musicalmente il brano è diviso sostanzialmente in tre parti (si parte con un folk scarno mentre arrivano i primi colori degli altri strumenti e la ritmica marziale, l'entrata "languida" delle chitarre segna l'apertura della melodia)  che crescono di intensità per poi seguire il processo inverso:
"con il naso in su a pregare che Dio esista perchè qua è finita a schifio ora che ho tutto però manco io"

"Il bastone e la scala": "nelle finestre noi mimiamo le cose che avremmo voluto essere noi"... minimal e intensa col suo arrangiamento scarno e prezioso che ben si concilia con l'immaginario poetico disincantato e lucido, una folk ballad che ha il suo punto di forza nell'immaginifico che esprime e nella variazioni d'atmosfere che abbiamo imparato ad apprezzare nella prima traccia:
"ma non c'è niente da ridere le stelle sono finite sul tetto con le mollette ora basta un bastone da scala"

"Almeno il cielo è sempre uguale": "il vento sfoglia i giornali al posto mio"... pathos e intensità "tra le sere passate a correggere noi" con la batteria marziale, gli improvvisi squarci melodici post rock a dipanare le oscurità e un mood "barrettiano" addolcito e sognante "come un cuore pulsante":
"gli occhi seri non li trovo più"

"Alluminio": "fuori le cose sbattono e volano via gli alberi si disperano sembra mia mamma triste che saluta una nave che è passata 30 anni fa mentre accompagna al giorno a dormire nel mar"... un gioello poetico di rara bellezza, pochi fronzoli ben assestati strumentalmente conditi con un garbo narrante evocativo invidiabile per un incedere solenne a sublimare le pennellate d'autore del testo.

"Il divano": "imparerò ad annoiarmi di nascosto da me"... il brano è un riuscito incrocio tra chitarre alla Syd Barrett,  atmosfere circersi e  aperture beatlesiane:
"ma ho fame di fame sete di sete mi sa che me ne torno sul divano a fare zapping nel mio cervello dove non c'è la pubblicità dove il cielo è ancora blu"

"Che mi dai": "se ti porto il mare, se ti porto un braccio'?" il nostro sembra fare i conti con l'amore riducendolo a oggetto, merce, senso di possesso, nello scambio stesso... in un' atmosfera rarefatta e cupa che si rischiara con passaggi strumentali quasi bucolici che però in seno nascondono quasi la tensione e danno la percezione di pericolo, mirabile l'arrangiamento che dona al tutto un fascino sinuoso e avvolgente di mistero.

"Stelle Scalze": "di tutto lo spazio eravamo più grandi noi ma lo spazio dov'è guarda come è piccola la luna per vederla bisogna restare sulla terra"... sospiri, mezzi silenzi, zoccoli di cavallo,  il "Coro Acrobatico delle Voci nell'Armadio" per una marcia cadenzata e suggestiva 

"C'era una volta a Pietrastorta": quasi il proseguimento della traccia precedente o ancor meglio la sua coda "strumentale"

"L'albero delle mollette":"sono bravo a stare fermo senza testa"  parte come un brano d'antan anni '50, piano, organo... per poi arricchirsi delle chitarre punteggianti e la sezione ritmica che fa il resto come se stesse passando al decennio successivo... tra nostalgie agro dolci con ancora il "Coro Acrobatico delle Voci nell'Armadio" a fare il resto, precisiamo che suddetto coro è un coro composto da una cinquantina di amici registrati in giro per l'Italia chiamati a dare man forte alla voglia di condivisione e al bisogno di riprendersi la bellezza che i nostri occhi un tempo hanno avuto, direttamente dalle note stampe :
"ti ricordi tutti i giorni nostri, ti ricordi noi sotto l'albero?"

"Ninnananna per Lulù": "anche quando la notte vieni a trovarmi nei sogni tu ridi sempre Lulù ridi sempre"...  parte minimal, dolcissima, quasi non volesse disturbare, pian piano si arricchisce e cresce di pathos e diventa sempre più evocativa, fino a quasi sembrare un canto liturgico... per poi dileguarsi "nell'atmosfera"... inevitabile dire che il risultato affascina non poco.

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