Vinicio Capossela - Marinai, profeti e balene






Tra Melville e Omero, un doppio album che "puzza" di mare, delle sue leggende, dei suoi suoni... comandante e naufrago esistenziale, semplice marinaio, giullare di bordo di un'ipotetica corte, che è stata più sull'oceano che sulla terra ferma... l'immenso Vinicio Capossela, ci invita a questo lungo viaggio... dove non sono ammessi ripensamenti o tentennamenti di sorta... bisogna immergersi nel viaggio immaginifico che ha eretto "come un castello ovviamente fatto d'acqua" per lasciarci unicamente e semplicemente annegare... in questo marasma oceanico di parole e suoni... lasciarsi travolgere è il prezzo del biglietto...  per un viaggio che deve necessariamente "prenderti" per poter far ritorno... salvo finalmente, attraccato a un'ipotetica riva, con la voglia di perdersi nuovamente... repeat... 
Sono "sirene" del resto queste canzoni... e nel vero senso della parola...  e il loro canto stavolta "ci innamorerà", perchè nessuno come Capossela, riesce a far confluire con tanta maestria una vera e propria orchestra, dosando di volta in volta gli elementi a sua disposizione, senza mai strafare, con una minuzia e cura del particolare che non ha eguali in Italia, un suono ricco, avvolgente, sempre teso alla ricerca di uno sfuggevole "scarto", che fa la differenza, che finisce inevitabilmente per abbagliarti come di colpo, quando meno te lo aspetti... e rimani incantato... come sospeso... tra riferimenti letterari e metafore ardite, man mano che il senso di tutto, come per magia ti appare lampante... di una bellezza sfolgorante... con la stessa forza comunicativa di quando Benigni legge Dante, come l'infinita e straordinaria serie di tocchi di Messi e compagni prima di mettere la zampata finale, come un viaggio e le sue mille avventure, che al ritorno sei combattuto tra la nostalgia e la voglia di raccontarle finalmente quelle peripezie...  come le sirene... che sanno tutto di te... il meglio di te:

"Il grande Leviatano": "le voci del coro degli apocrifi" che ritroveremo praticamente per tutto il disco  e il pianoforte, che si arricchiscono gradualmente, per un inizio tetro e suggestivo... invocando pietà... direttamente dalla pancia della balena, condiscono questa traccia di apertura, dove Capossela sembra accennare quasi a una sorta di spiritual:
" Nel mio canto per sempre vorrò ricordare quell'istante gioioso di nuova concordia... d'ora innanzi e per sempre dovrà risuonare del grande Leviatono del mio liberatore la misericordia..."

"L'oceano oilalà": ancora Moby Dick ad ispirare la ciurma stavolta in festa, come ad una ricorrenza di paese... sull'oceano...  completamente all'opposto della prima traccia... qui è la vitalità a pervadere e la musica non può che essere un tipico ballo popolare, caratterizzato da flauti, violini e tamburelli oltre che dai cori ancora una volta che giocano a rispondere: 
"Noi vogliamo del rum..."

"Pryntil": Stavolta l'ispirazione viene dal "Celine" di "Scandalo negli abissi"... un Capossela ludico e divertente, che si serve di arpe, xilofoni, kazoo, carillion, flauti etc... per tratteggiare questa figura di sirena "scandalosa" che porta la gioia agli uomini della nave.. ed è come se Capossela rimanesse ancorato al suo piano, intento anche lui a procurare piacere... mentre è l'intera nave a ballare... a non poter smettere di ballare:
"Perchè sono una sirena, canto in sirenese"

"Polpo d'amor": "troppe braccia per non abbracciarti..." il sound è come dire avvolgente, oscuro come l'inchiostro, profondo come una lettera... con la fanfisa ad acuire la nostalgia, 
"Mando messaggi di inchiostro nero..."

"Lord Jim": confidenziale e complice, ancora coi cori in evidenza... e ancora una volta la varietà degli strumenti a rendere il tutto un corpus compatto e lirico, ricco di sfumature e lampi di classe... uno degli episodi più riusciti: 
"Credevi di esser saldo, ora sai chi sei, ora che sta a te...Ora hai mancato il colpo, ma di questo non si muore, è solo che ora sai di che pasta sei Lord Jim"

"La bianchezza della balena": Ancora Moby Dick... e archi, fagotto, celesta... e voci bianche... per un lirismo pungente da brividi:
"E cosa atterrisce dell'aspetto dei morti se non il pallore..."

"Billy Bud: Sempre Melville come riferimento ma stavolta quello di "Billy in the darbyes"per un blues sgangherato e storto, con la chitarra in primo piano, sorretto dalle voci dei Drunk serius choir... martellante nel suo incedere... lento, marziale e dinoccolato...
"ahi ahi tutto è pronto per chi deve esser pronto..."

"I fuochi fatui": un recitativo sul coro che ripete il titolo, per il ritorno a Moby Dick, atmosfere teatrali e urla... un pianoforte appena accennato... e grande poesia:
"io mi volgo verso di te mostro fino all'ultimo io mi volto verso di te... dannata balena, così io getto le armi" 

"Job": dal "Libro di Job" l'eterna lotta tra bene e male, con la chitarra in primo piano, blues e atmosfere western, tensione che si scioglie quasi in melodia nel ritornello... per poi procedere con un ritmo marziale, sempre crescente, dove Capossela usa ancora il recitativo per la scelta finale di Job:
"Se accettiamo il bene, dobbiamo prendere anche il male"

"La lancia del pelide": il pianoforte torna in evidenza per questo brano, che chiude "il lato A" dell'album... facile capire chi sia il pelide in questione... impegnato nella battaglia più dolorosa, " il tuo cuore è una lancia appuntita"... l'amorosa tenzone ovviamente... i toni rimangono soffusi per tutta la durata, ad eccezione di un bridge strumentale, che ci fa sprofondare nella contesa d'amorosi sensi, prima della chiusa melodica che arriva quasi a portare luce nuova... un brano se vogliamo, abbastanza riconducibile a certe ballad, a cui il nostro ci ha in passato abituato:
"Guariscimi amore dal male d'amore..."

"Goliath": come una banda di paese dimessa e scordata, arriva la balena e si chiama Goliath... con l'organo di Barberia in evidenza e Ulisse che si appresta a tornare: 
"non badate all'odore dell'artista ambulante..."

"Vinocolo": trascinante, intensa, lacerata... con aperture che fanno tanto "Ballo di San Vito", opportunamente rallentate... "attenti al cannibale" per un brano che colpisce al primo ascolto... 
"e gli uomini son così piccoli, voglio vederli da vicino..."

"Le pleaidi": la traccia è come se fosse segnata da queste parole "l'attesa è un inganno l'attesa, ma io preferisco l'attesa..." osservando il cielo... mentre i naviganti cercano la via per tornare... su un pianoforte sussurrato e gli archi a smussare gli spigoli, si muove il nostro con leggiadria fino agli estremi confini del mare... dove:
"tutto si muove ma nulla si muove davvero..."

"Aedo": strutturalmente semplice per quanta evocativa... una sorta di canto rituale giocato sulle chitarre... e difatti ha nella sua andatura un non so che di tribale, che viene quasi celato dal ritmo lento e cadenzato, per accrescerne in un certo qual modo la sua capacità di ammaliare l'ascoltatore:
"Chi aveva orecchie, chi potè sentire... ritrovò la sua vita,  come era e com'è stata.."

"La Madonna delle conchiglie": clavicenbalo, fagotto, flauto, filicorno... per una marcetta deliziosa e struggente, attualissima nel tema... che è l'immigrazione... qui Capossela si permette, per così dire "di divagare" sulla stretta attualità... per uno degli apici dell'album:
"Un altro popolo, un'altra gente... con la stessa paura di sempre

"Calipso": reggae leggero e sonorità caraibiche con tanto di coretti affidati a Valeria Pilia e alle donne sarde di Aclores Alidos... per una malinconia straniante e toni da fiaba incantata... 
"nessuno mi può più trovare"

"Dimmi Tiresia": qua la malinconia o forse la paura... sembrano raggelare l'atmosfera... ed ancora una specie di blues... che ancora una volta non cresce, ma alimenta per sottrazione e ripetizione... "a raccontare il ritorno" carico di dubbi del nostro Ulisse che giunge alla certezza che :
"La conoscenza è niente senza fede"

"Nostos": pianoforte e viola... e i cori su tutto... ad innalzare i dubbi di Ulisse... 
"... ma misi me per l'alto mare aperto... oltre il recinto della regione... oltre le colonne che reggono il cielo..."

"Le sirene": Le parole sono inutili, tanta è la poesia e il valore del significato di questo brano, che musicalmente non aggiunge niente al nostro, ma rappresenta l'approdo ideale del percorso intrapreso da Capossela... dalla pancia della balena ai dubbi e rimorsi di Ulisse... e mi sembra a questo punto inutile aggiungere altro... se non che le sirene vanno ascoltate... sempre:
"... non hanno code ne piume cantano solo di te... sanno tutto di te... il meglio di te"

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