One Dimensional Man - A better man



Un album diviso in due parti, che punta diritto al mercato internazionale, delimitato da due ballads, per così dire tra virgolette, all’inizio e alla fine. Una prima parte sporca, rumorosa, veloce e una seconda, quasi rallentata, sperimentale per certi versi, straniante ed evocativa al tempo stesso. 
Ad accumunarle la ricchezza dei suoni e la voce profonda e “retorica”, importante, di Pierpaolo Capovilla, che a volte quasi si fonde con le trame per lo più chitarristiche, che tengono su l’impalcatura dei brani, altre volte, specie nelle ballads che sanno tanto di Nick Cave emerge in tutta la sua profondità.
Un album che potremo definire interlocutorio, perchè ci si aspettava decisamente di più ed è inutile negarlo, da questi undici brani, che compongono “A better man” e anche se sinceramente le critiche che si possono leggere in rete, ci appaiono alquanto ingenerose, tuttavia non si può non rimarcare il fatto che dopo tanti anni "se torni, lo fai con qualcosa di veramente notevole" e non è di certo purtroppo il caso di questo album, che pur tra diversi spunti interessanti, disseminati qua e la, soffre di una non coesione di fondo, della mancanza di un'idea forte che lo sostenga e soprattutto di trasporto, che sia emotivo o fisico... così è facile ritrovarsi nei pezzi che dovrebbero essere quelli più "da tiro immediato" a rimpiangere la potenza dei vecchi ODM e nei pezzi più sperimentali a non capire il perchè non si abbia voluto osare realmente.
Non sono bastati evidentemente i molteplici ospiti, infatti a  Pierpaolo Capovilla, Giulio Ragno Favero e Luca Bottigliero  si sono aggiunti Rossmore James Campbell, pittore e poeta australiano, autore di tutti i testi, Eugene Robinson degli Oxbow, Justin Trosper degli Unwound,  Sir Bob Cornelius Rifo di The Bloody Beetroots, Jacopo Battaglia di ZU –The Bloody Beetroots Death Crew 77, Rodrigo D’Erasmo degli Afterhours, Enrico Gabrielli dei Calibro 35, Gionata Mirai de il Teatro degli Orrori, Francesco D’Abbraccio degli Aucan, Richard Tiso, più volte collaboratore de Il Teatro degli Orrori in passato e recentemente al contrabbasso nelle date dei reading di Majakovskj che vedevano protagonista lo stesso Capovilla.
Questo disco a dirla tutta ha paradossalmente tutti i difetti e i pregi di un primo album... a questo punto non ci resta che attendere allora, il secondo "nuovo" album dei "nuovi" One Dimensional Man:

“A better man”:  intenso e suggestivo brano d’apertura, che non per niente dà anche il titolo all’album, in cui la voce di Capovilla da il meglio di se, in un contrasto dei toni molto ben riuscito e dosato e che si regge su poche note di piano e rumori lontani:
“ a man remembers a woman’s face... ”

“Fly”: ... rumori che diventano il fulcro di questo altro brano, con la melodia ben presente nel ritornello, che gode tra l’altro di un ottimo seppur concitato strumentale... forse questa è la traccia che più di tutte, rappresenta il nuovo corso degli One Dimensional Man:
“say... say... say...”

“A measure of my breath”: chitarre dissonanti in primo piano, su atmosfere cupe e sinistre, in cui come dicevamo sopra, la voce di Capovilla, sembra fondersi con il muro sonoro eretto dai nostri:
"in its separate"

“This crazy”: primo singolo, che alterna parti vigorose e altre lente con un bel bridge, incisiva, ma niente di eccezionale:
“save me... save me”

“This hungry beast”: convulsa, lisergica, ipnotica, rimane praticamente uguale nel suo incedere, con piccoli inserti strumentali che ne arricchiscono il corpus, con Capovilla che ghigna nella prima parte e aggiunge i toni bassi per una sorta di mantra nella seconda parte, prima del deflagrante minuto finale :
"it's sell!"

 “The wine that I drink”: poco più di due minuti, potenti e trascinanti, con un ritornello che si lascia ricordare facilmente:
"she makes in the wine... the wine i drink""

 “Ever smile again”: i toni declamatori di Capovilla sulle ritmiche aggressive, concitate, come gli stop and go, scanditi da interessanti varianti melodiche, anche se a tratti il tutto sembra un pò confusionario:  
"I have lived again again..."

 “Ever sad”: cover di Scott Walker in cui la voce profonda di Capovilla procede su una chitarra “grattuggiata”, per immergersi su atmosfere care a Nick Cave, ricche di soluzioni strumentali incisive e mai invasive, che vanno con l’entrata della sezione ritmica a procedere per accumulo, fino a sublimare, nell’incedere lento e marziale, uno degli episodi migliori dell'intero lavoro:
"explores the lines..."

 “Too much”: straniante gioco di voci, molto suggestivo:
"too lest too live.."

 “Face on breast”: e lo straniamento continua anche in questa penultima traccia dove sono ancora i suoni e i rumori a farla da padrone, con la batteria “in loop” e un Capovilla quasi etereo:
“pleasure my love”

“This strange disease”: atmosfere evocative che fanno per forza di cose venire alla mente ancora una volta Nick Cave, per la traccia che chiude questo atteso ritorno, così com’era iniziato, stavolta le poche note su cui poggia la voce profonda di Capovilla sono di chitarra:
"still much is the cry..."

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