Obagevi - Voglio sembri



Bolognesi sanguigni e sintetici, ma con un cuore che tende verso New York e ancor di più verso l’American South West. Groovvosi e rabbiosi al punto giusto, suonano davvero bene questi tre giovani Obagevi.
Presenti sulla scena musicale dal 2006, hanno saputo riflettere quella cultura musicale italiana pregnante di ritmiche incazzose e distorsioni sfavillanti che negli anni si è certamente abbeverata alla fonte dell’Hardcore punk e soprattutto del Post Hardcore di derivazione At the Drive In, riscoprendo così le sue vere radici nei Drive Like Jehu e nei Quiksand, due tra quelle bands che durante i primi anni novanta hanno fatto scuola per l’avvenire.

Gli Obagevi infatti hanno saputo ben sfruttare tutto questo materiale, orientando il loro stile musicale verso una direzione precisa, tracciata dai sei brani del loro EP intitolato “Voglio sembri”.
Arpeggi caldi e melodici, si alternano a parti accordali veloci e dinamiche, mentre basso e batteria fanno da contraltare spingendo la struttura dei brani verso soluzioni dissonanti, per poi ritrovarsi in un unicum potente, infervorato e vibrante. Nel complesso l’impasto sonoro è ben curato e presente… bei suoni insomma.
I testi in italiano completano i brani dandogli una luce malinconica e giocosa allo stesso tempo. Semplici e lineari, non richiedono troppo impegno nella comprensione pur trattando tematiche a volte molto impegnate, e non si rendono stucchevoli, al contrario favoriscono il coinvolgimento grazie all’uso di allegorie e doppi sensi.

La voce infine tende a svisate improvvise, slanci veloci e movimenti verticali che conducono la melodia dal basso all’alto in brevi istanti. Generosa insomma, senza però lasciarsi sedurre da urla esageratamente graffianti o ridondanti vocalizzi. Qualche ‘falsetto’ di troppo qua e là, però l’estensione c’è e si sente tutta, com’è giusto che sia.
A tratti ricorda la bellissima e carismatica voce di Shannon Hoon, compianto leader dei Blind Melon. Ma restiamo coi piedi per terra.

L’unica pecca dell’EP, a questo punto è doveroso sottolinearlo, sembra essere quella seconda traccia impazzita, cantata in lingua inglese, che esce fuori dal tutto ponendosi a metà strada tra un esperimento che richiede un’approvazione e l’affermazione del proprio poter essere internazionali. Certo, sembra di ascoltare una band americana, ma crediamo, senza voler precludere nessuna possibilità, che per adesso la strada da seguire debba essere quella dei testi in lingua italiana, che bene rendono l’attitudine alla giocosità verbale, per poi ponderare uno possibile sganciamento in un prossimo futuro, tentando le doverose sperimentazioni, sempre osservando la coerenza del tutto.

Ma guardiamole da vicino queste sei tracce.
Il primo brano s’intitola Sangue. La tematica è chiara. Si affronta qui un problema psicologico ed esistenziale, l’autolesionismo. Sottaciuto, nascosto, affrontato di rado, gli Obagevi invece te lo sparano in faccia e lo fanno generando una sorta di sinestetica ambizione che racchiude in se l’intero lavoro musicale: ”Sangue sulla tua pelle, ma tu stai zitta, nessuno deve sapere niente…ma prima o poi ti scriverò sto pezzo che voglio sembri del colore…del sangue”.

Coinvolti e pensosi arriviamo alla seconda traccia dal titolo Testa. La musica è davvero esplosiva ma il testo in inglese ci spiazza. Ma già ne è stato ampiamente discusso.
Le sonorità sono roboanti e a tratti amniotiche. Ci sentiamo su di un’altalena che ci lascia sospesi in attesa di un scarica finale, di una evoluzione, che infine arriva massicciamente, una volta superato il bridge, e che ci catapulta dentro l’anima del pezzo, sulle parole: “Confess, confess, you’ve never been honest … sometimes there’s a price to pay… for all the words he said…I confess, I confess,I ’ve never been honest, this time there’s a price to pay for all the words he said… ”

Terza traccia. Il titolo è Il mio odio per lei. Si ritorna al testo in italiano: “E’ giusto per sfogarsi un po’, e non vorrei esser qui ma mi costringono, e non vorrei avere bisogno di vivere per potere essere qui con te… Il mio odio per lei lo schiaccerò così…”. Ma in questo brano ciò che colpisce davvero non sono tanto le immagini che il testo propone quanto i colori che la musica, qui più che mai intensa ed espressiva, suggerisce. E ritorniamo alla sinestesia di cui sopra.
Colori d’acqua e d’aria che s’incontrano a metà strada sull’orizzonte producendo un viola elettrico psichedelico dentro cui perdersi. Bella storia.

Ed eccoci al quarto brano. Un intro/gioco di 47 secondi, molto intenso e ben strutturato, dal titolo Cambiare aria che predispone il passaggio alla quinta traccia dal titolo La Nuova.
Il pezzo più punkeggiante dell’intero EP. Tirato, veloce, puntellato da fasi di rilassamento, quasi ipnotiche, che poi esplodono su ritmiche super-dinamiche, acide, con un andamento per semitoni che tiene alta la tensione.
Il testo qui, come d’altronde anche la canzone stessa, è più articolato e introspettivo, e lo riassumiamo in breve con la frase che più coglie desta l’attenzione: “Una luce nera mentre viene sera, una luce bianca sempre più stanca io ridimensionerò, non terrò tutto per me forse quando non lo so avrei solo il bisogno di evadere.”

E dopo questa botta tremenda di adrenalina siamo all’ultimo brano, Punto G.
Questo pezzo è davvero ben costruito. Riassume bene tutti gli ingredienti dell’EP fin’ora analizzati. Sintetizza bene lo stile della band, nel modo di costruire la musica e di suonarla, e ci lascia con un monito certamente provocatorio, che desta un po’ di sconcerto e un po’ di ilarità, ma badate, il senso è ben più in profondità…”La soddisfazione è nel tuo culo” .

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