Parsec - Reset


Parsec, come l’unità di misura che aiuta a stabilire la distanza tra un oggetto e le stelle. Non Anni luce bensì Parsec. Archisecondi che determinano lo spazio e non il tempo.
Musica per riempire lo spazio in controtendenza rispetto a quanto affermò Frank Zappa, ripieno di cultura musicale d’avanguardia, che la definì come quell’espressione artistica che serve a decorare il tempo.



Nelle cinque tracce che compongono Reset il tempo sembra annullarsi. Musica subliminale ed evocativa, musica stellare, sia nell’intensità che nella forma. Composta per fungere da ponte di collegamento fra quegli stilemi e quelle tendenze tipiche del Post Rock, che i meglio accorti hanno precedentemente rintracciato nei lavori di band storiche quali Neurosis, Godflesh, Isis, Pelican, Tool, e a cui noi vogliamo aggiungere i Mogwai, i Giardini di Mirò e i Massimo Volume.

La musica dei Parsec riesce ad inglobare e catalizzare gli elementi caratteristici del Post Rock, contaminati da influenze psichedeliche e visionarie, restituendoci così qualcosa di fresco, che riesce ad emergere, si rende riconoscibile e si lascia gustare.

Musica strumentale e sperimentale prima di tutto. La voce è qui intesa, in massima parte, come uno strumento che deve arricchire l’insieme e non primeggiare su di esso. Si tenta di sfruttarla abbinandola ad effetti di ripetizione e d’ambiente che la mistificano, che ne alterino l’essenza poiché il concetto non risiede nelle parole ma nella musica stessa che va compresa nella sua intimità.
Alle atmosfere psichedeliche, cupe e introspettive si mescolano sonorità roboanti, massicce ed enfatiche in un continuo sussulto di eventi che producono immagini estatiche e orrorifiche al tempo stesso.
Tutto è al posto giusto.

La chitarra elettrica offre soluzioni diverse ed avvincenti, che spaziano da arpeggi raffinati a costruzioni sonore potenti e distorte. Lo ascoltiamo bene in Zenit , il secondo brano dell’EP. Qui la chitarra ritaglia un posto che non è mai di primo piano. L’obbiettivo sembra essere principalmente quello di contribuire ad accentuare le atmosfere dando carattere ai brani.

La batteria svolge il suo ruolo in modo deciso e lineare. Mantiene ritmiche ben sostenute da invenzioni interessanti che si liberano in variazioni complesse e spesso decisive per mantenere alta l’attenzione, soprattutto sui brani di lunga durata come in Reset e Monty Brogan, rispettivamente il terzo e quarto pezzo.

Il basso ruggisce. E come se ruggisce. Apre i pezzi,come in Goya , il primo brano dell’EP, e sottolinea le ambientazioni e ne scandisce il ritmo. E’ sempre presente e vibrante. Si concede degli spunti e divagazioni che creano nuove sfumature. Inoltre sostiene i brani e li riempie quando la chitarra affronta le parti solistiche.

Infine completano il quadro synth, violini elettrici e suoni elettronici che invadono le orecchie. Incastrandosi a perfezione con quelli elettrici creano un corpo sonoro eccentrico senza sbavature.
Sfruttati come fossero veli sonori, avvolgono interamente i brani dandogli completezza e leggerezza. Insomma rappresentano quel tocco in più che caratterizza il mix sonoro dandogli originalità. Mai invasivi o eccessivi, in tutto le tracce dell’EP questi suoni vengono inseriti con criterio e gusto, e specialmente in Mahatma, quinto e ultimo brano dell’EP.

Molta sperimentazione insomma e un’identità già forte. Reset è un ottimo lavoro. Un’insieme ben ordinato di idee semplici che messe insieme nel modo corretto ne fanno una più complessa ed interessante. La cosa che più stupisce è infine lo spirito di collaborazione che ne risulta. Non ci sono strumenti principali e strumenti secondari. La musica nella sua interezza è l’unica protagonista vera.

Chiudiamo ora questa nostra recensione citando alcuni versi di Monty Brogan, l’unico brano ad avere un testo.

Polvere in questa città, non rimane che raccoglierla e ripartire senza forze. Fuggire dai luoghi dove si crede ancora a qualcosa. Non c’è nessun arcobaleno a custodire il futuro. Aurora stringiamoci forte, piangiamo ancora per esserci consumati……..”

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