Chiaro - Ivan Segreto




E’ tutto chiaro adesso per Ivan Segreto ed era ora, dopo 5 anni di assenza dalla musica, dopo il divorzio dalla Sony per rinascere con l’indi Family Affair, per rifondare quella musica, quel pianoforte, quella voce che dal disco d’esordio “Porta Vagnu” fino ad “Ampia”, sono mutate pian piano verso una trasformazione che lo ha spento… lentamente. Ma Ivan Segreto, il ragazzo di Sciacca divenuto famoso per il poco consono (per lui) festival della canzone italiana (?), ha saputo ricostruirsi dalle “macerie” della sua stessa musica. Raffinato, trasognato, delicato, dolce, acre, sensuale, spirituale… e “Chiaro”, proprio come il disco della rinascita, in cui Segreto recupera “l’aere” che si respirava nel primo disco, un respiro di elevazione, musicale e spirituale che si poteva scorgere ancora per poco in “Fidate correnti” e che aveva del tutto perduto in “Ampia”. Non a caso il brano che apre il nuovo disco, si chiama “Ristoro”, come quella sensazione che nasce dopo un periodo di buio, quando ti perdi e non riesci a ritrovarti, quando piano risali la china, si schiarano le idee che


portano al cuore quello tsunami di sensazioni: certezza, entusiasmo, dolore, paura. Ma non è per niente un disco facile. “Un fiato trattenuto per troppo lungo tempo si libera improvviso, ma può spezzarsi”… nel macabro silenzio d’apertura…

“Ristoro”: Ivan si ricrea, ma non del tutto, parte dalle fondamenta dei campionamenti già sperimentati, che sono così delicati dando l’impressione di essere disegnati su un foglio di carta velina, con la batteria che scandisce il tempo come un metronomo andante su una timida bossa nova. Appunto, bossa nova, “nuova onda”, come questo brano che è un crescendo, come un’ode di Paul Eluard, si eleva sempre più, grazie anche alla sensazione onirica fornita dalla melodica suonata dal pianoforte, sembra quasi recuperare il suono delle tastierine “yamaha” degli anni ’90, un contrasto rischioso, molto audace, ma Ivan Segreto ci si tuffa dentro e la scelta azzardata risulta invece azzeccata… per ritornare nuovamente…

“Libero dalla cenere, libero dalle cose di noi, superate le rapide, troverò ristoro, troverò... troveremo...”

“Binirici”: Ivan ritorna alle sue radici sicule, con un brano molto difficile al primo ascolto. I suoni ed i sapori della sua terra si confondono con un sottofondo di flebili percussioni africane, di tamburi e timpani, che si mischiano al tipico suono europeo delle chitarre acustiche e con lo xilofono a farci ricordare che la Sicilia è un pezzo di terra d’Africa, che viaggia verso il vecchio continente. Una voce distorta in sottofondo, sembra propagarsi nelle vaste lande del centro Africa, un dolore che contrasta con la voce sensuale di Ivan Segreto ed ancora un brano in crescendo… come il sole dell’isola del vento…

“Tu si u suli chi cuaria, grazia di stu mari, ogni cosa pari chi ti vasa, cu l’occhi ranni ti talia…[ tu sei il sole che riscalda, grazia di questo mare, ogni cosa… sembra che ti baci, con gli occhi grandi ti guarda ]”

“Giovani Ali”: il brano che non t’aspetti. Da lui proprio no. Da dove possa uscire la carica rock dei migliori anni ’70 non lo sappiamo, ma questo brano è spezzato a metà, una parte in stile led zeppelin e l’altra in stile… Ivan Segreto. La prima ricca di riff di chitarre elettriche distorte, batteria sporca quanto basta, mentre la seconda fa emergere la melodica delle tastiere sempre presente e l’eco della sua voce. Eppure queste due distinte parti volano verso la stessa direzione come due ali spiegate, ma anche qui Segreto fa un lavoro rischioso perché il brano dura più di 4 minuti e può stancare l’ascoltatore che fa fatica ad assemblare i suoni, ma il vantaggio sono le parole… ironiche, taglienti, dal sorriso beffardo…

“Dispieghi le tue giovani ali, mostrandone la bellezza, stupefacente chiarezza, dispieghi le tue giovani ali, i tuoi struggenti ideali ma la foschia del presente, rende le tue ossa sbilenche… disprezzano il tuo entusiasmo…”

“Chiaro”: il brano è pura sperimentazione, proprio come quella vissuta dal nostro musicista di Sciacca, tanti synt, un pianoforte che suona qualche nota da “piano bar”, seppure Ivan Segreto, per dirla alla De Gregori, non è un artista di piano bar. Campanellini risuonano in questo brano più spirituale che strumentale, con la voce lontana a scandire poche parole, poco comprensibili… che si spengono in 4,53 minuti… troppi se non si deve ritrovare se stessi… alla quarta canzone rischia di spezzare troppo temendo di perdere la concentrazione… o portarti su un altro pianeta…

“Chiaro… c’è una voce inaspettata…”

“Costernato”: caldo il basso d’inizio per un malinconico arpeggio di chitarra. Un brano in minore che come un fiore sboccia, la tristezza va via, ma la sera si chiude nuovamente in attesa di un altro giorno… abbandonati i suoni “finti” si ritorna agli strumenti veri e propri che donano verità per un brano che senza dubbio è uno dei migliori di tutto l’album. Forse dopo “Chiaro”, Segreto si è accorto di non avere più tempo da perdere…

“Costernato, sogno, non ho niente da aggiungere, mi ritrovo costernato, solo all’idea di non aver più tempo da perdere…”

“Risalita”: ha capito finalmente qual è la sua strada Ivan Segreto, in risalita e lo fa con un intro che riprende synt e campionamenti a creare un’atmosfera per la strofa, si recuperano le sonorità di “Porta Vagnu” e “Fidate correnti”, quella sofferta positività degli accordi in minore che ha sempre segnato le sue canzoni, quei bemolle che simboleggiano i gradini di una scala. Ma questa volta il brano non è in crescita, mantiene fino alla fine la sua stabilità armonica, in cui emergono i distorsori e le debolezze di un uomo, un’altra ottima canzone.

“…quale sarà il giorno della mia risalita, vengo da dove tornare saprò, quale, quanta energia ci vorrà, se avrò forza di difendermi, se saprò attendermi…”

“Fiume”: Sonorità surreali e sognanti, in questo ritorno alla morbidezza che solo il jazz sa dare. In “fiume” il musicista raggiunge l’apice della sua creazione, si esprime al meglio col suo pianoforte, come se il risveglio si tramutasse in forza e il dolore esca fuori, l’espressione della rabbia che raramente si può ascoltare nella sua voce, irrisoria nei bassi e sofferta nel falsetto. Un rullante delicato in armonia con gli altri strumenti si sposa con un timido contrabbasso, scandendo i minuti di un brano portandolo in cima… da qui alla fine del disco si può notare come i tre anni di studio fatti da Segreto sulle tecnologie di elaborazione audio danno il loro frutto, creando un suono “aulico”, etereo, che lo rendono “materia plasmabile”…non “manca” nulla a questo brano… eppure…

“Ora manchi tu, fiume, ospite mancante, dalle tue rive ho colto il silenzio, del tuo fluire ho apprezzato il senso, paura sai, ho scoperto paura…”

“Lembo”: Le atmosfere sono magiche ed il piano ritorna protagonista come nei precedenti dischi, ma finalmente Ivan Segreto ritrova il “suo” jazz rivisitandolo completamente, spogliandolo di tutti gli orpelli tipici che lo fanno diventare una “musica per pochi” e rendendola più vicina all’ascoltatore… ma non aspettatevi un brano scolastico solo per questo motivo, Segreto riesce sul serio a stravolgere le sonorità jazz e contemporaneamente facendo anche un ottimo lavoro. Il brano è secco ma non banale, è spazioso ma contiene l’essenza...è lui...il ragazzo che siede al piano del Blue note di Milano…

“…Dopo saprò come agire nel capirsi, nel farsi capire ed intenderò pertinenza nell’indugio la presenza, bramo bramo, bramo, bramo….”

“Euforica”: Stesse atmosfere “sospese tra cielo e terra” come nei precedenti brani, un pianoforte che segue come un’ombra la voce in un gioco in cui sono i soli protagonisti, fin quando si crea un’apertura verso la batteria che con i tom ed il rullante, questa volta riesce ad esprimersi in un assolo magistrale… in sottofondo le fioriture vocali che accompagnano gli strumenti, testi “essenzialistici” ma mai banali, via i campionamenti e spazio alla musica, quella vera…

“Danza con me, canta con me un’orchestra in gioia….Da un pasto eufonico, estasi euforica…”

“A la Vò”: Se avevate pensato di aver ascoltato ormai tutto, vi sbagliate di grosso. E’ proprio in “A la vò” che Ivan Segreto raggiunge la sua massima espressione artistica… un flebile pianoforte come altrettanto “fiatata” è la voce che lo segue. Ritorna la lingua siciliana, lingua dei popoli. La canzone richiama un’antica ninna nanna sicula, “Avò e di la vò”: “Bo, bo, bo, dormi figghio e fai la vò”… A la vò può significare in questo contesto, fare la nanna, il bambino che dorme è tranquillo e placa i suoi dispetti. Ecco perché in questa canzone, Segreto presta la voce ad una mamma che cerca di addormentare la figlia irrequieta, come del resto tutti i bambini. L’atmosfera ricreata è l’apice di tutto il disco, che consigliamo di ascoltare in una stanza, al buio, perché la luce la vedrete ascoltando questo brano, ascoltando questo disco, che inizia in sordina, come se Segreto non volesse scoprirsi subito, ma poi prende coraggio, si risveglia, fino a raggiungere sicurezza, poi rabbia, dolore, spiritualità… Il mondo della musica è in crisi, ma Ivan Segreto no, anzi, è uscito dalla “Porta Vagnu” della sua città, Sciacca, ma entrerà dal portone del Blue Note di via Borsieri…

“A la vò chi dormi e chianci, voli la naca, n’miezzu l’aranci, a la vò, chi dormi e riri, voli la naca n’miezzu a la nivi… [la bambina, che dorme e piange, vuole l’amaca in mezzo agli aranci, la bambina che dorme e ride, vuole l’amaca in mezzo alla neve]”

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