Decadancing - Ivano Fossati





Da uno come Ivano Fossati, noi per principio ci aspettiamo sempre di più, perchè diciamoci la verità, a un Guccini, a un De Gregori nessuno ha mai chiesto di rinnovarsi... specie in chiave musicale.
Lo stesso De Andrè nei suoi ultimi lavori aveva approfondito la sua ricerca musicale anche proprio grazie a questo signore, che ha deciso “non di dimettersi da rockstar”, che dimostra ogni giorno che passa, varie altre incombenze a cui adempiere, ma semplicemente di non rilasciare più alcun album... aveva nel lontano ‘96 fatto uscire un album fondamentale per la musica italiana, quelle “Anime salve” che rappresenta tutt’ora, uno degli apici della nostra tradizione.
Fossati infatti non è solo un grande cantante o un eccelso paroliere, ma è anche e soprattutto un musicista aperto a 360 gradi, come ha sempre dimostrato nella sua discografia, dove forse a dirla tutta i suoi ultimi lavori, sono apparsi “stonati” ai più, pieni di riempitivi, lontani dalla ricerca musicale che lo ha sempre contraddistinto, fermo restando gli splendidi testi e le intese interpretazioni vocali... la decadenza appunto.
Decadancing, si colloca un paio di gradini sopra gli ultimi lavori del nostro, teniamo intanto a precisare, ma rimane lontano da impensierire i suoi capolavori, perchè il Fossati che più abbiamo imparato ad apprezzare, cioè quello dove la sua cultura musicale si liberava delle forme prestabilite dell’italica canzonetta, qui compare a tratti, si e no, in quattro brani, affidando a forme stereotipate, sebbene suonate e arrangiate ovviamente da Dio, i 6 pezzi mancanti all’appello... che non mancherebbero di certo intendiamoci, se Fossati, non fosse anche e soprattutto un grande “ricercatore”, un vero e proprio innovatore, per come lo conosciamo noi.
Decadancing risulta essere così sicuramente un buon album, con “un lato b”, come si diceva una volta, decisamente superiore, una manciata di buone canzoni “pop” e qualche ballad che scivola via, appunto per mancanza del colpo di classe, che da un maestro come Fossati, ci saremmo aspettati.
Ribadendo che è comunque un buon passo avanti rispetto agli ultimi lavori rilasciati, ci rincresce alquanto che questo sia, a detta dell’autore stesso “il suo canto del cigno”... 
a quanto pare a De Andrè è decisamente finita meglio discograficamente parlando, anche grazie al suo aiuto,  a meno che... non ci resta che attendere e... intanto: 

“La decadenza”: Fossati apre dunque questo suo “ultimo lavoro”, con un pop/blues, che richiama i temi già sviscerati in “Cara democrazia”, con la leggerezza di toni di “La bottega di filosofia”, con una semi-citazione di “Io sono un uomo libero”... il risultato è sicuramente piacevole, tanto da essere il primo singolo rilasciato, benchè privo del mordente che caratterizzava i brani sopra citati:
“ ... in questa decadenza le parole non hanno chance, in questa decadenza le persone non hanno chance”

“Quello che manca al mondo”: se le parole non hanno chance, evidentemente “quello che manca al mondo è un pò di silenzio”, un ossimoro a prima vista, eppure è la chiave di volta del pezzo, infatti il testo procede per contrasti, per negazioni, a risaltare l’assurdo, l’abuso che stiamo vivendo... “come l’estate che sembra dicembre”.
Musicalmente siamo su territori pop/rock, con riff poco originali a dire il vero, riscattate in parte dalle soluzioni strumentali apportate, che arricchiscono la struttura standard del brano:
“io non sono quell’uomo che aveva un sogno, che ne è stato dei sogni di questo tempo...”

“La sconosciuta”: ” è solo musica leggera ma la dobbiamo cantare”, ci viene spontanea la citazione, per presentare la prima ballad dell’album, ariosa, melodica ma non troppo, con aperture particolari e di gran classe, per narrare l’amore che ritorna mentre le persone, i protagonisti della storia sono cambiati, forse per sempre:
“serve coraggio a ricominciare e a non sbagliare ancora...”

“Settembre”: piano e voce con una carezza di chitarra classica e i violini che si aggiungono  a risaltare i momenti solenni di un addio, per uno dei testi più poetici del disco, ne viene fuori un brano di grande intensità lirica ed emotiva:
“tenera è la notte ma la vita è anche meglio di questo momento che te ne vai... tu non parlare che si calma il dolore, dopo è solo tempo... questa è solo la pioggia che deve cadere...”

“La normalità”: il perfetto contro altare del brano precedente, la musica infatti è qui estremamente solare, “sarà la musica che gira intorno” ci permettiamo di aggiungere... la melodia la fa da padrona e ben si presta ad accogliere un nuovo amore, ma una punta di rassegnazione o semplice malinconia del tempo che è irrimediabilmente passato, appare improvvisa all’orizzonte, per mancanza di fiducia nel “per sempre”, ma del resto è “la normalità”, da rifuggire il più possibile, perchè bisogna crederci sempre e soprattutto ancora: 
“... ma tu te li ricordi i nostri sogni al tempo dei pensieri illuminati?”

“Laura e l’avvenire”: dopo aver riconquistato fiducia, il nostro si lancia verso l’avvenire, “Laura prendi il tuo coraggio e abbracciami”, altra “musica leggera”, con la batteria, trascinante e ipnotica a risaltare e inserti ottimamente funzionali di fisarmonica e piano soprattutto ad arricchire il corpus armonico.
Nel testo tuttavia compare più di una punta di acredine nei confronti del bel paese:
“ora questo posto non fa più per noi, questo è un deserto di democrazia”

“Un Natale borghese”: senza parole o forse no, finalmente...  perchè questo è il nostro Ivano Fossati,  quello che abbiamo sempre amato, musicalmente eccelso, infatti questo brano gode anche di un testo superbo e di un arrangiamento classico e pure sperimentale, allo stesso tempo, per palati fini insomma:
“che buio disprezzabile è la politica”

“Nella terra del vento”: solita ballad, alla Fossati, pianoforte e voce, impreziosita dai violini, che cresce man mano di intensità con le parole che vanno spogliandosi per ridiscendere in profondità:
“io sto qui nella terra del vento, nella terra dei sogni sbiancati e dormo con la mia porta aperta”

“Se non oggi”: una sorta di tango contaminato, che divaga nel blues, con un gran lavoro di chitarre e ottimi inserti di fisarmonica, con una coda finale quasi jazz dove è il pianoforte a prendersi la scena. 
Ci tocca ripeterci, ma questo è il Fossati a cui siamo abituati, ovvero, immenso cantautore e anche il testo in questione non lascia dubbi, dove l’annosa questione lui, lei, l’altro è narrata come solo i grandi sanno fare: “almeno guardami che sto parlando di te”,  ma anche grandissimo musicista dedito ad innovare la forma canzone: 
“ come un respiro tranquillo la vita continuerà”

“Tutto questo futuro”: ancora piano e voce, anzi decisamente più piano che voce, per una specie di riassunto dei “frammenti dei discorsi amorosi” narrati nell’intero lavoro:
“eppure mi piace tutto questo futuro e anche il tempo sprecato che non vedo già più... io e te in mezzo al mondo siamo un pugno di fiori, ora passa la notte e come senti non piove più”

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