Io tra di noi - Dente




Dopo il successo di “L’amore non è bello”, sono in tanti ad attendere al varco Giuseppe Peveri, in arte Dente, due anni e mezzo sono passati e il nostro nel frattempo ha trovato anche il tempo per duettare con Dario Brunori e la sua sas e per niente meno scrivere per Marco Mengoni.
Se il Battisti di Anima Latina, datato 1974, era la fonte primaria del vecchio album, qui in questo “Io tra di noi”, Dente sceglie per così dire gli anni che vanno dal 78 in poi come ispirazione, quando in Italia esplose la prima timida dance music e la stragrande maggioranza dei nostri cantautori si diede a ritmi leggeri e scanzonati...sfacciatamente orecchiabili ed easy listening, appuntatevi questa parola perchè ricorrerà spesso in questa recensione... così nello stesso calderone, finiscono oltre ovviamente al Battisti di quegli anni, anche per fare un altro nome, Alan Sorrenti, ma come vedremo il nostro arriva quasi a coverizzare Antonello Venditti e a citare persino Vasco Rossi.
Inquadrato il periodo musicale al quale Dente attinge a piene mani, c’è da dire subito e a scanso di equivoci che i brani hanno un sound ben definito, un mood, un sentire, che dona a tutto il lavoro una certa omogeneità, anche se in un paio di episodi il rischio del già sentito è dietro l’angolo, così Dente in alcuni brani cambia le carte in tavola in fase d’arrangiamento, eliminando qua e la un ritornello o al contrario facendo un unico ritornello o niente meno che una sola strofa oppure torna all’antico, chitarra e voce e pochi orpelli.
Scelte coraggiose che avvalorano sicuramente la voglia di cercare uno spunto diverso, un tentativo di andare oltre i riferimenti.
Apprezzabile in chiave di intenzioni queste scelte, non sempre a dire il vero accompagnate dalla pura intuizione, finiscono col dare a certi brani una sensazione di non compiutezza, di abbozzo, di tentativo non riuscito fino in fondo... ma è pur vero che in qualche modo bisogna apportare qualche novità o perlomeno provarci.
I testi erano, sono e rimangono “la vera cifra stilistica” del nostro... e non deludono quasi mai.
L’impressione alla fine che rimane, è quella inevitabilmente comunque di un album di passaggio, ovvero, non è di certo un capolavoro, ma si fa piacevolmente ascoltare in toto, cadute di tono e riempitivi compresi, “Piccolo destino ridicolo” e la conclusiva “Rette parallele” sono a nostro giudizio i punti di partenza del quale Dente, dovrà far tesoro.

“Due volte niente”: voce e chitarra acustica, un Dente per così dire vecchia maniera, apre questo album con un brano molto intenso, con un testo giocato tutto su assolute e piccole verità più che evidenti solo a pensarci: 
“non mi spaventano le cose che non ho mai temuto e non mi mancano le cose che non ho mai avuto...non serve a niente fare finta di niente come se io e te non esistesse più”

“Piccolo destino ridicolo”: spassosa cantilena arricchita da un tocco di elettronica vintage, che si dilata nella parte centrale e può godere di parole ricche di sarcasmo e di sicura presa, a far crollare l’elegia dei discorsi amorosi e del ruolo centrale del destino, episodio riuscitissimo:
“più che il destino è stata l’adsl che mi ha unito e poi... io sono quello piccolo ridicolo”

“Saldati”: una ballad semplice,  ricca di colori, che ispira leggerezza, una pop song alla Dente verrebbe da dire, con Battisti come fonte primaria d’ispirazione:
“e come stai mi chiedo dandomi del tu come a primavera sugli alberi le foglie” 

“Casa tua”: uno dei testi con le immagini più ardite e poetiche, affidato a un andamento carezzevole, accompagnato dal fischiettare del nostro e dagli interventi di flauto, che fanno tanto anni ‘70, prima dell’ attesa e convincente esplosione/dichiarazione finale: 
“ questo è quasi tutto, quasi tutto quello che ho scritto alzandomi dal letto, c’è un banco con dentro i fogli da disegno in quella notte poco complicata,  in quella notte senza vestiti in quella notte dentro casa tua... e adesso sai”.

“Cuore di pietra”: ‘47 secondi per una ninna nanna, voce e chitarra in cui il nostro in poche parole, esprime il suo immanente bisogno d’amore: 
“so che da te non ti muovi, anche se io ho palesemente voglia di te”

“Giudizio universatile”: Ancora Battisti, ma anche l’Alan Sorrenti più commerciale, specie nel ritornello, per un testo che riprende e rielabora in qualche modo, ampliando la discussione su quelle “ assolute piccole verità” narrate in “Due volte niente” :
“la faccia sporca non si pulisce mai fino a quando non la lavi più”

“Da Varese a quel paese”: una scanzonata “Bomba o non bomba” che narra le imprese amatorie del nostro, per comprendere forse alla fine il senso comunque di solitudine di un rapporto fugace:
“appoggiamo le guance sullo stesso cuscino e all’improvviso siamo ancora una persona sola... appoggio la mano sull’altro cuscino e d’improvviso sono ancora una persona sola”

“Io si”: dopo Venditti, Dente sembra citare niente meno che Vasco Rossi, oltre che nella musica (”Quanti anni hai) forse anche nel titolo, dove la celeberrima Io no di Vasco, qui diventa Io si e dove il nostro rimembra con un filo di malinconia passando in rassegna le tappe e gli incontri, una sorta di diario... latita la struttura del brano, inesorabilmente sempre uguale, almeno ritmicamente e i lievi cambiamenti melodici non servono a risollevarlo, anche perchè le rime stavolta non sono all’altezza:
“dimmi se te li ricordi le cose che sanno solo di ricordi...”

“Puntino sulla i”: la sensazione che suggerisce lo scarno arrangiamento e l’aria che si respira, è quella della sospensione eterea dove il nostro si rintana in cerca di consolazione:
“come mai non mi scrivi più, come mai è tutto all’inverso”

“La settimana enigmatica”: il titolo stavolta è forse una citazione dei Baustelle (”La settimana enigmistica”), ma si ferma li, il brano è una piacevole ballad, orecchiabile, easy listening, con continue aperture melodiche puntellate dal rhodes:
“è una settimana intera che non ci sei... più con la testa”

“Pensiero associativo”: questo brano prosegue sulla scia del precedente, in quanto a easy listening, col ritornello talmente ripetuto che ferma il consueto dipanarsi e si prende letteralmente la scena, coi fiati paradossalmente a far rifiatare il brano stesso, monocorde fino all’eccesso: 
“io voglio i tuoi capelli biondi, sogno i tuoi occhi verdi e non mi importa niente, io mi attacco ai tuoi capelli lunghi, dentro i tuoi occhi grandi e ci sto tanto tempo”

“Rette parallele”: è decisamente un bel colpa di coda questo brano, dove torna il miglior Dente, nel suggellare l’armonia dei contrasti e la loro reciproca indispensabilità, strutturato in due fasi matematiche, teoria e pratica, strofa lunga e ritornello che sfuma ad libitum, con tanto di aroma brasiliano sulla coda finale, ricca di percussioni:
“io sono il lungo inverno e tu la bella estate, siamo rete parallele”

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