Magnifica Presenza di Ferzan Ozpetek



Fra sogni, visioni e fantasmi, desideri e aspirazioni, l'arte e il suo senso, autobiografia (forse) e paure recondite, fra citazioni Pirandelliane e aneliti di Visconti, con assoluta nonchalance (da intendersi maestria), Ferzan Ozpetek rilascia una delle sue pellicole più riuscite, con uno straordinario Elio Germano (anche se non è di certo una novità), che si destreggia amabilmente, camaleontico tra luci e ombre, sulle musiche di Pasquale Catalano, al servizio di un impianto filmico senza sbavature, dove gli snodi narrativi, anche se per certi versi, in alcuni tratti appaiono quasi attesi e/o dovuti, procede a rigor di logica, surreale e affascinante, per tutta la sua durata, con il giusto trasporto, senza scadere “nell’altro non detto... ma fondamentale”.
Un film che ha un suo equilibrio e che riesce cosa non da poco a restituirlo in pieno allo spettatore, nella scarna magnificenza della messinscena e dei suoi chiaro scuri, grazie anche alla fotografia di Maurizio Calvesi, nell’intensità dei fotogrammi che scorrono antichi e solenni, nel ritmo pregnante e incisivo... che finisce irrimediabilmente per appassionare alla vicenda.
I thopos classici della filmografia di Ozpetek, qua lasciano il campo alla storia di per se, (solo all’apparrenza) che assume i tratti dei provini di Germano, ma stanno lì, come fantasmi a dare un vero e proprio sotto testo, un’altra chiave di lettura, che getta uno sguardo lucido “sulla diversità in genere”, e che donano al film, una profondità che non può che lasciare il segno.

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