Tutto qua - Fabio Concato



- “Ho avuto una crisi di idee, non sapevo cosa scrivere e mi era venuta la sindrome da foglio bianco, quella che colpisce gli scrittori. Inoltre avevo altre cose da fare, come pensare un po’ di più a me e alla mia famiglia. Avevo, insomma, da vivere, da fare altre cose”... ... ma anche: “ad allontanarmi è stato piuttosto il rigetto per un ambiente discografico che non riuscivo più a sopportare.” 

Sono passati undici anni dall’ultimo album di studio di Fabio Concato, risale infatti al 2001, “Ballando con Chet Baker”.
Le peculiarità del nostro, che lo hanno reso celebre nel corso degli anni rimangono tuttavia intatte, a partire da quella capacità innata di ritrarre i sentimenti senza appesantirli più del dovuto, la leggerezza di fondo nel porgersi, anche parlando di sensazioni non sempre positive, il tono confidenziale e distaccato allo stesso tempo...  manca forse solo “il pezzo da...” ma davvero non guasta, in questi undici episodi, davvero convincenti, che godono sostanzialmente dell’arrangiamento classico e ricco di atmosfere avvolgenti, morbide e delicate, grazie a Ornella D’Urbano e in un paio di episodi delle particolarità ricercate, apportate da Pier Carlo Penta, senza dimenticare il riuscitissimo connubio artistico con Stefano Bollani.

“L’altro di me”: struggente e delicata ballad in pieno stile Concato... per l’occasione “allo specchio”, cercando “la sua parte buona”, non ha, a dirla tutta aperture melodiche propriamente originali, ma è decisamente il testo a farla da padrone:
“e quasi senza pudore vivrò per te”

“Stazione nord”: tenera fine di un’amore, il nostro è un maestro nel raccontare senza scadere in banalità (visto il tema poi), concentrandosi sugli oggetti, su uno sfondo jazz appena accennato, che dice arrivederci, sapendo che è già addio:
“non credo più di amarti ma come posso dirlo in mezzo a questa gente”

“Tutto qua”: la title track è un inno all’empatia e alla tolleranza, che cita a ragione il Tozzi de “Gli altri siamo noi”,  su una struttura abbastanza classica, come a dire “è solo musica leggera, ma la dobbiamo cantare”... tutto qua:
“e serve immaginare per comprendere però senza velleità, c’è solo della gente a difendere è tutto qua”

“Papier mais”: jazz elegante a rincorrere il tempo, con un retro gusto di nostalgia, che si esalta nelle variazioni in minore e nei momenti strumentali “bucolici”, si sente il diverso arrangiamento di Pier Carlo Penta, rispetto a quelli più classici di Ornella D’Urbano:
“è meglio smettere di bere o ti domando se mi sposerai”

“Carlo che sorride”: on the road e musica, per l’ amico musicista scomparso Carlo Gargioni... qui Concato è al suo meglio, come in Gigi, il riferimento è spontaneo e d’obbligo, l’atmosfera è leggera, con quel filo di ironia che non guasta, ma densa di significati e pronta ad emozionare:
”e sempre in viaggio io e te, un pò musici un pò camionisti, mancano soltanto le donnine ai finestrini ma se hai pazienza prima o poi le metterò”

“Se non fosse per la musica”: una vera e propria dichiarazione d’amore, col grande Stefano Bollani... quasi una riflessione più ampia della traccia precedente:
“e se non fosse per la musica mi chiedo spesso cosa farei, lo so che non so fare niente, certamente viaggerei, con la mia musica preferita e i miei libri di poesia”

“Non smetto di aspettarti”: sapori e profumi antichi in questa traccia, grazie all’orchestra d’archi in primis, ma anche agli inserti di sax, clarinetto e flauto... sublimando la “mancanza”:
“mi manca quella tua leggerezza per affrontare il mondo e anche la mia tristezza” 

“Breve racconto di moto”: forse saranno gli arrangiamenti di Penta a piacerci particolarmente, ma questa è davvero una delle perle dell’album, dalle ficcanti tinte blues, dove si intrecciano mirabilmente il ritmo accattivante, l’ironia tipica di certi must del nostro, abilmente confezionata tra racconto e giochi di parole immersa nel sociale... “la Celestina va”:
“ e canto tutta la bellezza che c’è intorno e che qualcuno vuole cancellare, con capannoni giganteschi sempre vuoti se ogni tanto andassero a cagare?”

“Il filo”: col suo procedere sornione e complice, classicheggiante e melodico nelle aperture, coeso e incisivo nell’insieme, Concato celebra “il tentativo” da fare, “di fare” assolutamente, perchè:
“ce ne vuole mica poco di coraggio per alzarsi e per provare”

“Sant’Anna (di Stazzema)”: suggestiva e sospesa... ma anche riflessiva mentre inevitabili punte di tristezza affiorano e non potrebbe essere altrimenti, “visto il tema”... con un ottimo solo di chitarra elettrica di Toti Panzanelli:
“Cammino ancora su quel sentiero, dall’alto guardo il mare e un brivido s’arrampica alla schiena, mi inchino a ricordare”

“Un trenino nel petto”: la summa dello stile Concato si può facilmente riassumere in questa traccia conclusiva, che è stato anche il primo singolo estratto dall’album, semplice, lineare, abusata anche se vogliamo o che tocca il cuore “semplicemente” perchè sai che sono parole vere... il suo merito sta nell’essere confidenziale e sincero dunque e ad ampio raggio melodico e più che altro riuscire ad esserlo e a farlo percepire all’ascoltatore:
“camminiamo sul mare, io dietro di te, penso questo è l’amore più vero che c’è, ci riprovo ad amare e lo faccio con te”

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