La teoria dei colori - Cesare Cremonini




Più asciutto e misurato del solito, specie nell’interpretazione vocale, Cremonini rilascia il suo lavoro sicuramente più maturo e coeso, che tralasciando qualche episodio poco memorabile, è da ascrivere a una sua crescita ormai definitivamente compiuta.
Stiamo ben intesi parlando di pop e ci muoviamo in territori mainstream per eccellenza eppure la qualità di questo lavoro è francamente innegabile, una finestra sugli anni sessanta, col gusto tipicamente inglese, senza dimenticare la lezione italiana di quel periodo.
Arrangiamenti di classe e quasi mai banali, aperture melodiche a tutto spiano, testi che visto il contesto, non dispiacciono di certo, Cremonini manda alle stampe il suo ennesimo tentativo di coniugare la canzone pop d’antonomasia (Beatles), con il primissimo cantautorato italiano, stavolta cercando finalmente di dare una misura al tutto e in primis al suo ego... ci riesce decisamente e per lunghi tratti e se un giorno decidesse di far convogliare nei testi, aneliti di socialità per così dire, se si confrontasse in qualche modo su quello che accade in Italia e nel Mondo, se non si limitasse ovvero a “i frammenti dei suoi discorsi amorosi” avremmo trovato un grande autore:

“Il comico (Sai che risate)”: il primo singolo estratto, è la classica pop song alla Cremonini, debitamente aggiornata, che richiama tra l’altro la melodia di “Sardegna”, opportunamente accelerata, specie nel ponte... ovvero elemento fiabesco predominante e arrangiamento orchestrale:
“e l’occhio ride ma ti piange il cuore, sognavi di essere trovata su una spiaggia di corallo da un figlio di un pirata, chissà perchè ti sei svegliata”

“Una come te”: “non vuole essere alla moda la moda la fa”... con un andamento da marcetta beatlesiana e con svolgimento a tema per quanto riguarda il testo, il brano è giocato sulla ripetizione e sull’alzata di tono del ritornello, che non convince del tutto, ma è apprezzabile quanto meno come rischio preso:
“una come te, la porti al cinema d’estate... dorme sul finale”

“Stupido a chi”: trascinante beat scanzonato ed energico coi synth e i fiati in evidenza, che rallenta opportunamente prima di ripartire:
“il fumo danneggia le stelle nel cielo, le donne si fanno di rimmel sul treno nel buio la luna mi chiedo se il cuore comanda è vero”

“L’uomo che viaggia fra le stelle”: “questa canzone non è triste, solo tristemente vera”... strutturalmente varia e ricca di soluzioni armoniche che concedono ampio spazio ad aperture melodiche figlie degli anni sessanta, con un fondo di nostalgia acuito dall’arrangiamento orchestrale:
“così ho capito che per sempre non avrei amato più nessuna”

“Non ti amo più”: “sempre la stessa canzone dopo un addio”... ballad pop lineare e scontata, banale, come il testo, che non aggiunge niente, nonostante nel finale ci sia da segnalare un buon solo di chitarra elettrica.

“Amor mio”: per piano e archi, il nostro prova ad aggiornare la canzone melodica d’antan italiana, ricercando genuinità e semplicità oltre ai sapori di quegli anni... non ci riesce del tutto, per limiti di testo e interpretazione, oltre che di costruzione armonica, apprezzabile insomma è il tentativo (Morgan docet) ma è evidente la mancanza in primis di carisma, per approcciare standard del genere :
“tu dentro me sei la luce di un giorno felice”

“I love you”: “vivere con le abitudini come due inglesi all’ora del thè”... ballad essenzialmente acustica, dai profumi ancora una volta anni sessanta, dove il nostro per l’occasione è perfettamente calato nella parte e si destreggia abilmente, tra le melodie di sempre e i ritmi pop invasivi, Cremonini stavolta riesce appieno nel suo intento, grazie anche alla leggerezza / intelligenza del testo e l’ottimo arrangiamento:
“senza il coraggio di chiederci quanto è costata la felicità”

“Ecco l’amore che cos’è”: “conosco un modo per cambiare il mondo, guardarlo insieme a te”... perfetta pop song, che si dipana avvolgente e curiosa e gode di un uso assolutamente efficace delle chitarre elettriche che trascinano letteralmente nel ritornello.

"Tante belle cose": "Adoro i tuoi grovigli"... il brano che il nostro dedica a Malika Ayane è di una delicatezza disarmante, intima... tutto giocato sul pianoforte e su un testo che risulta sicuramente convincente:
"Si perde sempre qualcosa quando ci si innamora"

“La nuova stella di Broadway”: “e chi non ha mai visto nascere una dea, non lo sa che cos’è la felicità”... intensa ballad che parte spoglia e va via via “vestendosi”, classicamente, con tanto di solo chitarristico nel finale.

“Il sole”: “sulla nave amici non ne ho eppure sulla nave noi siamo ancora adolescenti”... sembra quasi una sorta di rilettura de i “Muscoli del capitano” di Degregoriana memoria, questa ballad “sommersa”, che affronta “l’abusata metafora del viaggio” con la sua andatura dimessa e solenne nello stesso tempo e che rilascia ancora un ottimo solo di chitarra elettrica sul finale.

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