Ristabbànna di Gianni Cardillo e Daniele De Plano


Una scelta narrativa e stilistica funzionale e ben costruita, il punto di vista degli occhi del bambino che si fanno letteralmente "cinema"  e la voce off d'altri mondi del compianto Ben Gazzara, a tenere in piedi i fili del discorso propriamente filmico, gli ottimi movimenti di macchina, la confacente fotografia, che cerca la poesia più volte tra leggende e costumi, la tutto sommato buona prova attoriale, aderente alla storia, pur nell'esile trama proposta, tra aneliti di Tornatore e i Malavoglia di Verga... soccombono inesorabilmente sotto i colpi degli stereotipi di una Sicilia vista al cinema per così dire.
Se paradossalmente la storia narrata fosse stata ambientata in altri tempi,  il film avrebbe avuto la sua ragione, il suo stato d'essere, pur fra tutti i suoi limiti si intende... non un capolavoro ma un affresco quanto meno convincente e intenso in molti frammenti, di una data realtà... invece purtroppo stiamo qui a parlare di un film ambientato ai nostri giorni con la mentalità, con la visione della vita, che fa il verso a tempi e realtà lontanissimi e appunto stereotipati a più non posso, macchiette trite e ritrite che si muovono in una società chiusa, che ha le sue regole, esterne al mondo circostante.
Stiamo parlando ad esempio che ai giorni nostri secondo gli autori, se vuoi fare cinema in Sicilia, devi andare in America (fare un tentativo a Roma no, tanto per dire?), che se vuoi vendere una casa c'è solo il boss di turno che te la compra , che la gente del posto fa lavori che non esistono quasi neanche più e tutti legati al mare o al vino per non parlare a riguardo anche dell'operazione "film spot o cartolina" che dir si voglia, che se non sei Woody Allen, non sempre te la cavi. 
Se da un lato possiamo intuire le loro ragioni e facendo passare per grazia ricevuta "la citazione americana" che fa tanto "emigrante" e ricerca "dell'American Dream", il film è pure sotto titolato tanto per capirci... o la società chiusa, il microcosmo, senza tirare in ballo Lars Von Trier e ribadendo le cose positive dette all'inizio, non comprendiamo davvero il resto, che può anche reggere nella prima parte, quando non ti accorgi ancora dove si vuole andare a parare e dove tra l'altro personaggi e storie son ben delineati, ma che non può non deflagrare ineluttabilmente in un umorismo involontario che pervade lo spettatore infine, facendo si che l'ultima mezz'ora di visione, rovini qualunque appiglio critico o giustificazione e riveli il film nella sua essenza: uno stereotipo fuori dal tempo ambientato in una cartolina. 

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