Sapessi dire no - Biagio Antonacci



Due pezzi per le radio, una dose cospicua di pseudo cover rigorosamente non citate, tanta enfasi e tanto amore, combattuto, respinto, provocato, deluso, affranto, etc etc... sul quale consolidare la sua fame di sciupa femmine, come il più celebrato dei rapper...il titolo del resto, vale quanto un programma...
per un pubblico di ragazzine ululanti e brufolose.
Metafore ardimentose, che abbracciano luoghi comuni e diari, populista quando occorre, abile a cavalcare le mode musicali del momento, Antonacci sforna un disco stra sentito, senza anima, che vuole essere ruffiano, ammiccando qua e la agli ultimi arrangiamenti sentiti per caso, per le sue pretenziose suggestioni poetiche sempre più di bassa lega.
Un autore che nel corso degli anni è andato peggiorando sempre di più, perdendo in toto la sincerità, quel tocco quasi naif degli esordi, ma anche quel pizzico di mestiere, quella capacità comunque di scrivere buone canzoni di musica leggera italiana negli anni duemila... per dire che da Liberatemi a Quanto tempo ancora, pur a tentoni, ma si salvava comunque il salvabile, quello che Biagio Antonacci consegna al pubblico oggi invece, è solo e unicamente la sua personale ricetta per mantenere il successo, peccato che anche il pubblico meno scafato e più di massa, non sia così stupido come il nostro in cuor suo spera... perchè saranno pur vere tutte le dinamiche del caso, ma certi versi fanno rabbrividire, le scopiazzature son fin troppo evidenti e la vena artistica del nostro è andata abbondantemente a farsi benedire:

“Insieme finire”: se mi vuoi, vengo a nascere sulla tua testa libera”... a tempo di marcia, coi cori in evidenza che fanno tanto Coldplay e una melodia banalotta ma altamente radiofonica:
“il male minore è l’istinto primordiale fare i conti solo quando ormai non torni indietro più”

“Ti dedico tutto”: “siamo naufraghi vivi in un mare d’amore”... altro brano da hit list, che ricorda Pacifico nella strofa, poi per l’appunto è “il mestiere” del nostro a fare il resto:
“io ci credo davvero non sei solo sesso”

“L’evento”: poi una nuova avventura che bussa, è chiaro che aprirò”... il latin lover Antonacci si confessa e si dice pronto a giurare eterna fedeltà... nonostante l’istinto, su una ballad semplice semplice, che festeggia per l’appunto “la nuova convinzione” con trenta secondi di cori maestosi, decisamente fuori luogo:
“l’evento è se io adesso sapessi dire no”

“Con infinito onore”:”come un servo schivo ma schiavo faccio politica”, con la melodia presa in prestito da Fabio Concato de “Il caffettino caldo”, opportunamente accelerata, il nostro si volge ai temi sociali:
“Cosa posso fare per essere diverso?”

“Qui”: “puoi sentire il dolce gemito degli angeli... qui è casa”... con metafore ardite tipo “petalo di donna che ti sposti con il vento”, ballad che aspira all’epos sia nella costruzione armonica che appunto con le immagini evocate nel testo, scadendo nel ridicolo, per la pretenziosità del corpus in generale:
“questo posto è il posto dove cambi pagina”

“Senza un nome”: “se vuoi chiamarmi tira un sasso”... tralasciando il testo, è quasi una cover di Save tonight di Egle Eye Cherry o una rilettura di Tieni il tempo degli 883 per restare in Italia:
“tu che ne sai della mia vita, ho avuto culo, sono vivo”

“Dimenticarti è poco”: “Una su un milione” di Alex Britti più “T’innamorerai di Marco Masini, sfacciatamente senza pudore:
“un ti amo salvato andrebbe sempre cancellato”

“Sola mai”: “tu non stai sola mai tipico esempio della donna fatale”... ennesima cover prima dance, rigorosamente easy listening  “calando le braghe all’indifferenza” i riferimenti/citazioni, possono essere molteplici.

“Sono stato innamorato”: “adesso vivo in campi aperti e quando ho il sole, riscalda le ferite chiuse non ho dolore”... giustificando l’amore e le sue fasi, con un brutto falsetto del nostro nel ritornello, cosa strana questa a dirla tutta, così come le urla nel bridge, fuori luogo:
“è giusto aver rincorso chi non si è fermato mai”

“Dormi nel cuore”: “questo amarti toglie luce a tutto il resto... questo tempo sembra sempre tempo perso”, sonorità tipicamente anni 80, con tanto di inserti di sax e voce english a ribadire il concetto “sleep on my hearh” per un mixaggio a dir poco confuso.

“Non vivo più senza te”:”... anche se in Salento prendo tempo” atmosfere spagnoleggianti o pizzica che dir si voglia, a sentenziare che “Pazzo di lei” era praticamente un capolavoro... una sorta insomma di Ricky Martin piacione e regionale che respinge le avance di una disponibile signora:
“No signora no, mi piaci, ti prego... le cose poi succedono”

“Naturale”: “siamo un’unica cosa se abbiamo un miraggio”... anni ottanta come se piovesse, il nostro fa il punto della situazione, che “naturale sarebbe poter dire no”... populista e inoffensivo:
“l’ho detto a Dio e mentre pregavo hanno rubato anche gli spiccioli in chiesa, ma per piacere il mio dovere non è pregare, ma stare in pace con me”

“Liberandoti di me”: “hai fatto centro, hai preso te”, con la chitarra iniziale che si stoppa come non se ne sentiva da tempo immemore... a presagire il pathos narrativo, che purtroppo finirà con l’esplicitarsi in un ritornello orribile, per non parlare della perla:
“luna in gemelli, vampiro mai sazio, l’olfatto mi aveva persino tradito” o ancora: “buio nella stanza, sesso in abbondanza”

“Ciao tristezza”: “improvvisamente puntale sempre non cambi mai”... chiude l’album, una minimal ballad per pianoforte e voce, dove il nostro cerca la poesia... non ci riesce del tutto, per mancanza di sincerità di fondo e eccessiva enfasi, con tanto di accorato finale “fate sempre dei bei sogni”,  ma rispetto al resto dell’album appare quasi un toccasana.

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