Sarebbe bello non lasciarsi mai ma abbandonarsi ogni tanto è utile - Dimartino




Con gli occhi di un adulto e il cuore di un bambino, Dimartino per il suo secondo album solista, getta uno sguardo sincero, reale, disincantato eppur sognante, speranzoso, raggiante di poesia... sulla vita... fermo, apparentemente o meno “ sulla strada provinciale a contare le stelle... su un’estate, un colore, un pianeta ”, eppure in continuo movimento, tra i ricordi e i mutamenti dell’anima, del resto “che vuol dire il tempo passa e poi perchè non possiamo più giocare e farci male”.
Dalle certezze insindacabili dell’adolescenza alle paure dei grandi, il nostro approccia la materia mischiando “le visioni” per così dire, coi ricordi che puntualmente vanno a braccetto con l’odierno, in un cammino comune per diventare forse, aspirazione o mera chimera che sia (se non pura razionalità) “come alberi e durare per sempre”, seppur consci della nostra caducità, come quella dei super eroi...
Musicalmente, giocando un pò, se Nick Cave aveva le sue Murder Ballads, qui possiamo parlare di Dreamer Ballads, perchè non smettono di rilasciare ascolto dopo ascolto, quel senso di epico e solenne che solo i grandi sogni sanno dare.
Quelli del bambino / adulto Dimartino, che guarda il mondo seduto al cinema delle sue emozioni, rilasciando empatia e poesia.
Stiamo parlando di arte (se non ci siamo spiegati bene fino ad ora), di un disco che si candida ad entrare in un’ipotetica top ten di questo già ottimo 2012:

 “Non siamo gli alberi”: Io odio immensamente le ferrovie dello stato, perchè è lì che ci diciamo addio quattro volte al mese”... delicata, nostalgica e avvolgente ballad, abbastanza classica, molto ricca strumentalmente, che parte con la chitarra da “cantautore d’eccellenza” ma è ben presto il pianoforte a porsi in evidenza, con suggestivi inserti e dove il nostro narra “l’adolescenza”, sui ricordi del primo amore, quando “tutto quello che voglio da te è illegale” e “non è niente che si può comprare con i soldi di mio padre”:
”Sarebbe bello non lasciarsi mai ma abbandonarsi ogni tanto è utile o necessario alla sopravvivenza di animali in estinzione come noi”

“Non ho più voglia d'imparare”: “tienitela tu l’università, il socialismo nelle dispense di un massone”... dai primi amori giovanili, il nostro sposta i suoi occhi su “gli anni dell’università”, per citare i “Non voglio che Clara”... “scegli la tua felicità che io scelgo la mia” lo fa con un’altra ballad, ritmicamente più sostenuta della precedente, con ficcanti accelerazioni, col pianoforte protagonista sin da subito che può ricordare per il piglio e l’andamento ritmico “Cambio Idea”:
“mentre guardavamo il divo sul manifesto del detersivo, pensavamo a Monicelli che volava dal balcone alla faccia della moda che ci vuole giovani e belli, alla faccia dell’Italia che ci vuole vivi.. e basta”

“Venga il tuo regno”: e improvvisamente la stretta attualità incombe e “regna sovrana”... del resto “i laureati aspettano di lavorare, i lavoratori aspettano di morire, la meraviglia che avevo da bambino la nascondo sotto al cuscino”... è il bambino che abbiamo dentro a combattere, tra atmosfere e aperture melodiche care al compianto Dalla di metà anni ottanta, per un testo geniale e razionale nello stesso “tempo”, che getta uno sguardo disincantato e amaro sul nostro “tempo”:
“i kamikaze dicono alle loro donne che per pranzo non torneranno”

“Amore sociale”: “per l’amore che dai come un fatto sociale”... strumentalmente pregevole, raffinata, con la melodia della chitarra evocativa al massimo  e un falsetto mai sopra le righe e assolutamente efficace, gli improvvisi cambi di tono, le aperture ariose, il nostro narra la “disillusione” con vivida forza poetica:
“oltre il tango dentro ai magazzini vuoti, proverò a non pensarti più”

“Cartoline da Amsterdam”: “e ballo con una sedia perchè non ho altro con cui ballare il mio cappotto è umido, sono figlio di un temporale”... sognante e malinconica, un mood rarefatto e felliniano, con la voce di Giovanni Gulino a irrompere nell’idillio secondo il tipico arrambante stile, ma è la poesia del testo che si prende la scena irrimediabilmente, per le emozioni che regala: 
“ho provato a essere felice senza accorgermene”

“La penultima cena”: cibo e sesso, “per toccare i miei diciotto anni che sono trenta da un pò di tempo”... “ci mangeremo così con tutti i vestiti”, il sound è tipicamente italiano della seconda metà degli anni ottanta, morbido e ovattato, col pianoforte che ripete un riff invasivo che sembra giocare con la sigla del Maurizio Costanzo Show:
“bastano pochi morsi ma buoni per divorarci bene”

“Maledetto autunno”: “ho consegnato lettere a un postino anonimo per non ritrovarle più perchè dentro ci sei tu, tu con la tua democrazia che è diversa dalla mia”... altra ballad ad alta dose di malinconia con ancora una volta il pianoforte in evidenza, con gli stop and go pre ritornello, tipicamente pop, da segnalare la metafora dell’albero che richiama la traccia d’apertura e non ce ne voglia il nostro, ma arrangiamento e melodia con i dovuti distinguo ovviamente, ricordano “Estate” di Gianluca Grignani:
“ho costruito un albero per tenermi compagnia”

“Io non parlo mai”: è la chitarra a mò di menestrello stavolta a condurre i giochi, con piccoli orpelli elettronici a condire il tutto, con le poetiche immagini affidate a un parlato ”bambino” fra supereroi e limoni volanti:
“c’è che passa il tempo e che lo spazio resta sempre quello”

“Piccoli peccati”: “perchè alla nostra età ci si accontenta di poco”... Dimartino fa quasi un punto della situazione, su una “fantomatica età adulta”, altra ballad sostenuta, trascinante e incisiva:
“e il cadavere di superman che cade delle nuvole è solo un’altra scusa per sentirci più simili agli eroi e belli come dei che non sbagliano mai”

“Poster di famiglia”: “e un bacio dato per caso davanti a un monumento, mentre guardiamo la notte illuminata da un bancomat”... “comprerò un poster di famiglia per il mio cuore fuori sede”, il brano ha il sapore di un “romanzo popolare” nel senso nobile del termine, sia per quanto riguarda il testo che la musica e l’arrangiamento pervaso ancora una volta da accelerazioni ottimamente congegniate, culminanti nel memorabile ritornello:
“gli aerei cadono, le frasi contano al cinema e qualche volta anche nella vita”

“Ormai siamo troppo giovani”: “torneranno a farsi le seghe e a qualcuno tornerà l’acne” 
il nostro “Benjamin Button” arriva alla fine di questo suo secondo album, con la traccia che fa un pò il punto come è giusto che sia sui temi narrati, affidandosi a gli arpeggi di chitarra ben sostenuti dalla ritmica delle percussioni, per salvarsi “dagli amori legali, dal vangelo e lo sport”, serrando le fila e chiudendo il suo secondo lavoro come meglio non poteva:
“perchè tutto deve andare sempre come è normale?”

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