Per capire ed apprezzare al meglio “Irrintzi”, l’opera prima di Xabier Iriondo – già chitarrista storico degli Afterhours – bisogna partire dalle sue profonde origini: i Paesi Baschi. Si perché Irrintzi è un urlo stridente come questo suo disco, che nel bene o nel male vi stupirà. Xabier, infatti, musicista di lungo corso, è basco da parte di padre e milanese di nascita. Due mondi così diversi che lo hanno ispirato e portato a compiere un viaggio andata/ritorno dal nord della Spagna alla più grigia città italiana, dove etnie, paesaggi sconfinati e tradizioni, si scontrano con modernità, innovazione e frenesia. Il tutto "shakerato" dallo stesso Iriondo in questo disco che ritorna al passato guardando al futuro. Ammettiamo sin da adesso che il disco non è di facile ascolto… troppa distinzione tra suoni stridenti progressive ed etnici… più che un disco di musica è un volume di storia in… musica…
“Elektraren Aurreskua”: è il primo brano perché è da qui che con i suoi ricordi Xabier ritorna alle origine basche o come dicono loro Euzkadi, Paesi Baschi per l’appunto, riconosciuti come comunità autonoma dalla Costituzione spagnola del ’78 e definita nello Statuto di Gernika. E’ grazie a Xabier (e al musicista basco folk Gaizka Sarrasola) che abbiamo conosciuto strumenti a noi prima ignoti: i suoni che sentirete sono quelli del txistu, del tum-tum e della alboka, che riproducono in modo similare i tamburi e i flauti… in sottofondo una bambina che parla e saluta (aurresku) il nonno... probabilmente un addio autobiografico di una ormai lontana terra d’origine…sul finale canti popolari baschi…e onde…
“Irrintzi”: suoni campionati, stridenti come il suo significato, sperimentazioni “alternative”, chitarre elettriche sporche da far male, con una vocina sullo sfondo… ebbene si, la bambina che salutava il nonno è andata altrove… verso caos e ansie… per noi è anche fin troppo stridente come le unghie su una lavagna… da elettroshock…
“Il cielo sfondato”: le musiche del mondo... il mondo in una musica. Ed il cielo che passa da Bilbao al Messico fino ai popoli dell’India è lo stesso… perché indios fu una parola coniata dagli spagnoli, facile da confondere con l’India, colpa di Cristoforo Colombo… e allora Iriondo che fa? Miscela suoni e rielabora e sperimenta, con una sorta di sitar massiccio e con il contributo di due straordinari musicisti: Paolo Tofani degli Area e Gianni Mimmo. Urla di indiani in rivolta, ritmi asiatici che – e può sembrare strano – fanno anche ballare… sul finale un sax spaesato è come se volesse fuggire via…
“Gernika Eta Bermeo”: come abbiamo più volte detto, il disco è un insieme di tante cose così lontane eppure così vicine…accomunate da un unico comun denominatore: la distruzione... di linguaggi, di storie e di suoni… Bermeo è una città basca che è stata nel tempo distrutta da incendi e lotte tra fazioni opposte; Gernika è storicamente famosa per il più grave bombardamento aereo della storia; l’Eta, un’organizzazione armata terroristica basco-nazionalista che lotta per l’indipendenza degli Euzkadi che ha ucciso più di 800 persone… storie così lontane, così vicine… La voce che sentirete dietro suoni onomatopeici, di chitarre taglienti come spade, è quella del padre di Xabier, Karmel Iriondo Etxaburu, che racconta quegli attimi drammatici di sangue che lui in prima persona da ragazzo ha vissuto. A disturbare la narrazione regolarmente in lingua basca, un cordofono creato dallo stesso musicista, il Mahai Metak.
“Reason to believe”: un consiglio: toglietevi subito dalla testa la versione originale del Boss Springsteen contenuta in Nebraska, uno dei più importati concept album della storia del folk blues… il rischio c’è… ma non si vede perché tanto diverse sono le due versioni. Iriondo snatura il brano della sua dolcezza naturale e l’inasprisce ancora una volta di suoni elettrici, chitarre malate che fanno perdere le tracce dell’armonica. La voce di Paolo Saporiti, cantautore folk “figlio adottivo” di Iriondo (che ha prodotto il disco dello stesso Saporiti) ben si sposa con i suoni progressive.
“At the end of every hard earned day people find some reason to believe…”
“Preferirei piuttosto gente per bene gente per male”: non ci piace molto spiegarvi una canzone, ma quando è necessario come in questo caso, è d’obbligo… e dovevamo aspettarcelo da Iriondo visto che il disco ancora una volta ci mostra un cocktail di suoni (o rumori) e storie… ”Preferirei piuttosto” infatti, è un brano di Francesco Currà, sconosciuto musicista degli anni ’70, che mischiava testi impensabili ad elettronica. “Gente per bene, gente per male” è invece un brano di Battisti/Mogol contenuto in “Il mio canto libero”… due generi diversi che si fondono in una storia di denuncia sociale, in suoni surreali, dove difficilmente le orecchie si abituano, dove una macchina da scrivere muove i tasti nervosamente e dove, nella seconda parte, sprigionano batterie elettroniche con i bravissimi ( e diversissimi per stile) Roberto Bertacchini e Cristiano Calcagnile. Sul finale campionamenti “aerei”…
“Preferirei essere un pazzo piuttosto che un operaio consapevole e sarei in via di guarigione…”
“The hammer”: feedback, chitarre e strumenti distorti a go go per questa cover dei Motörhead e vi possiamo garantire che il gruppo heavy metal britannico suonava ninne nanne a confronto! E’ il pezzo più “suonato” di tutto l’album ma sinceramente le urla da posseduta della cantante degli OVO ci sembrano fin troppo esagerate…
“Don't go out tonight, don't even try to fight…”
“Itziar en semea”: di questo brano poco vi raccontiamo in termini “musicali”… il solito rumoroso elettrorock che accompagna tutto il disco… piuttosto, il titolo significa in basco “il figlio di Itziar”; lo stesso Iriondo fa sapere che si tratta di un testo dello scrittore Telesforo de Monzon portato alla ribalta dal duo Pantxo eta Peio nel ’75. Un inno anti franchista (e oggi caro anche all’Eta) che narra di un prigioniero politico basco picchiato dalla polizia e l’incontro in carcere con la madre. Un altro rischio di Xabier… tant’è…
“Cold Turkey”: John Lennon arriva dove neanche un musicista può… e questo brano ce lo dimostra tutto… infatti Iriondo poco ritocca della struttura melodica del brano… le chitarre, dopo aver sentito i precedenti, sono molto meno distorte, i colpi di batteria impreziosiscono il fenomenale e martellante riff che delimitano il brano in un folk rock d’annata… chiara e graffiante la voce di Manuel Agnelli, quasi ironico come se volesse in un certo qual modo imitare la vocalità di Lennon… gemiti e riff, riff e gemiti in un pezzo che Iriondo non ha scelto a caso, come non ha scelto a caso tutti i brani che compongono “Irrintzi” che ci ha lasciato perplessi, talvolta frastornati, ma anche stupiti, ammaliati. “Cold Turkey”, fu il secondo singolo solista di Lennon che, quando restituì coraggiosamente alla Regina d’Inghilterra il titolo di membro dell’Impero Britannico, le scrisse questo biglietto: “Riconsegno questo MBE come protesta contro il coinvolgimento della Gran Bretagna nell’affare Nigeria-Biafra, contro il nostro sostegno all’America in Vietnam e contro il fatto che “Cold Turkey” stia perdendo posti in classifica. Con affetto, John Lennon”.
"Cold turkey has got me on the run..."
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