Viva l'Italia di Massimiliano Bruno



Coniugare una visione scorrevole, dosando abilmente diversi registri e stati d'animo per farli confluire nei crismi di una commedia all'italiana come si deve, senza scadere nella faciloneria della macchietta trita e ritrita visti poi i temi trattati a rischio qualunquismo, non era per niente semplice, eppure Massimiliano Bruno, al suo secondo film (che a quanto sembra doveva essere il primo) riesce addirittura a migliorarsi. Erano gli stessi elementi in fondo a tenere in piedi "Nessuno mi può giudicare" il suo apprezzato esordio, in primis al botteghino, più vivace, più veloce di questo, ma che non affondava però i colpi fino in fondo, nel complesso un film sufficiente, dove al posto di Placido, mattatore assoluto, c'era Paola Cortellesi. Il miglioramento di cui parlavamo prima, dipende dalla sceneggiatura scritta insieme a Edoardo Falcone, più fluida e profonda, dall'ottima ed efficace colonna sonora (Silvestri, Frankie Nrg (che fa anche un cameo), Conidi, Fossati, Caparezza) e soprattutto da una maggiore consapevolezza nel filmare, specie "le scene madri", su tutte la camminata di Placido in mezzo agli scontri tra manifestanti e poliziotti  con "Italia" di Mino Reitano, che diventa un urlo disperato, girata davvero con maestria, ma non sono da meno visivamente, grazie anche alla funzionale fotografia di Alessandro Pesci, anche la scena dove sempre lo stesso Placido "si immerge" nell'immagine rilasciata dal proiettore e si staglia/torna insieme alla sua famiglia sul muro,tutti insieme "ora" in una vecchia foto, che risulta essere tra l'altro molto toccante, così come lo è inevitabilmente quella della sortita in Abruzzo tra le macerie del terremoto.
Il ritmo filmico, la struttura narrativa sono garantiti da un lavoro di sottrazione, affidando gli eccessi, calcando la mano sulla recitazione(anche nei caratteristi e nelle parti di contorno, c'è ad esempio una versione smagrita di Sarah Felberbaum coatta, inedita e riuscita o la sottovalutata Lucia Ocone) facendo si che tutto venga ben sviscerato,  con i dovuti accorgimenti nelle micro storie dei figli (Bova, Gassman, Ambra... eccellenti le loro prove) che si sviluppano dietro "la malattia" del grande padre. 
C'è inoltre un'idea forte da trasmettere ed è affidata alla visione pirandelliana del mondo dove solo fingendosi pazzi si può gridare la verità... e la verità è amara e fa male:
Sono due i momenti base dell'assioma dell'autore, "la verità"... quando Placido torna a casa dagli scontri nella manifestazione e vede i suoi vecchi amici politicanti di destra parlare confidenzialmente con chi poco prima di sinistra arringava la folla, davanti alla televisione (da Vespa per intenderci) dice ai suoi figli: ma non vedete quanto sono bravi a litigare "per finta"... e sempre davanti alla televisione, stavolta da dentro (ospite diciamo da Santoro) a fine film, ribadirà il concetto, gettando più di un'ombra sulla storia più o meno recente della nostra democrazia. 
E'una presa di posizione forte e si badi non è qualunquismo, non si afferma: "sono tutti uguali, è lo stesso schifo, ma peggio: qui sono d'accordo e non si vergognano neanche, è wrestling o calcio scommesse se volete... come fate a non accorgervene?" Farlo poi coi tempi comici, seppur dilatati, non scadendo mai nella macchietta (esemplare in tal senso il ruolo di Rocco Papaleo,straordinario, un Lele Mora ante litteram e finto gay) ribadiamo è un grande merito... eppure è quello che "la commedia all'italiana di una volta" sapeva fare molto bene.

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