Con le idee chiare e un forte spirito di coesione (a tal proposito una perfetta tracklist, fatta secondo tutti i crismi), innamorati di un certo sound inglese che ha fatto la storia della musica moderna, i marchigiani 2 a.m. tornano con questo secondo ep che vede la produzione "curata" di Mattia Coletti e convincono, aggiornando la materia che approcciano con la giusta leggerezza, dosando il tutto sapientemente, senza sbavature o cadute di tono, una mezz'oretta insomma per ripresentarsi al grande pubblico col piglio sicuro di chi ha dalla sua parte il talento. Di contro ma ampiamente giustificabile, i nostri avrebbero potuto osare maggiormente, "di già", visto la padronanza dei mezzi e uscire per così dire dai loro "schemi perfetti" e deflagrare "sonicamente" con garbo si intende, in certi casi, magari nelle tracce che aprono e chiudono il disco dove "il rumorismo psichedelico" rimane di contorno ad abbellire il quadro curandosi bene di non uscirne fuori, appunto... o di diversificare in qualche modo, perchè nell'insieme il tutto può risultare a tratti derivativo e sarebbe un peccato, perchè i numeri ci sono, non stiamo parlando di difetti, perchè è chiaro che è una scelta stilistica, condivisibile pienamente. Sei brani che non hanno dunque punti deboli e che che lasciano ben sperare per il futuro, quando la band dovrà necessariamente distaccarsi dalle proprie ispirazioni e diversificare la sua proposta, mantenendo ovviamente le sue peculiarità:
"Outsider": sapori autunnali, un folk con qualche accenno psichedelico tenue,che rimane sullo sfondo, per chitarra e piano, che via via si fa complice, da segnalare il delicato falsetto della voce.
"Axl's song": ballad indie pop dai chiari richiami alla musica inglese specie del passato, trascinante e delicata al tempo stesso dal mood scarno che non dispiace e ricca di buone aperture melodiche.
"Live from a parallel world": come sopra, ma più eterea, più lirica e intensa con un bel bridge strumentale sul finale.
"The untold words": con questa traccia i nostri aggiornano per così dire la materia, spostandosi verso territori più consoni al brit pop dei novanta, a cominciare dal cantato e dall'arrangiamento più pieno, con inserti di chitarra elettrica ben assestati.
"Just for one day": qui i nostri sono vicini a sonoirtà indie rock anni 2000, "ovviamente" è il sound inglese a farla da padrone, ottime le armonie vocali e il continuo crescendo emotivo sulla solida struttura che fa si che il brano risulti quasi essere un intero ritornello.
"Magic can't work": "magicamente" si ritorna all'inizio, è quindi il folk (come in Outsider) ancora una volta venato di accenti psichedelici "leggerissimi" che più che sporcare il sound lo colorano letteralmente, a ritornare sulla scena per chiudere questo convincente ep.
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