Experience - Quintorigo




Da “Rospo” a "Hendrix" di strada ce n'è e i nostri l'hanno sempre percorsa a testa alta. Li avevamo lasciati o li credevamo quanto meno confusi sinceramente “In cattività”.  Probabilmente il fatto di essere tra virgolette il gruppo più alternativo della scena oggi indipendente, ovvero mediaticamente difficili da “digerire” non li ha aiutati. Anche l’alternarsi dei cantanti ha confuso "ribadiamo" ed era forse inevitabile il pubblico devoto, conquistato nel corso degli anni. Eppure dal 2003 ad oggi hanno sfornato piccoli capolavori come “Il cannone”, “Quinto – Raccolta”, “Quinto – Play Mingus”,  “Le origini – Raccolta”, “English Garden” fino all’ultimo “Experience”, album tributo a Jimi Hendrix. Lavori davvero magistrali segnati da molti frontman: dopo l’uscita di John De Leo subentra Luisa Cattifogli; con il live per Charles Mingus arriva Maria Pia De Vito, vincitrice tra l’altro del Top Jazz 2009; nel 2011 approda al microfono Luca Sapio, un’altra voce pazzesca questa volta in pieno stile rock ma che presto lascia il posto all’ultimo arrivato Moris Pradella, che in molti hanno paragonato a Ben Harper, perfetto per interpretare dunque Hendrix, nel suo 70° anniversario dalla nascita. Ammettiamo che l’uscita di una delle voci più eclettiche del panorama musicale italiano (e perché no, internazionale) John De Leo, ci ha allibito non poco. La straordinaria vocalità di De Leo, così camaleontica, così fine e roca allo stesso momento, si sposavano con le sonorità dei veri leader del gruppo. Si, perché i Quintorigo, e lo hanno dimostrato sempre più negli ultimi lavori, sono Valentino Bianchi al sax, Andrea Costa al violino, Gionata Costa al violoncello, Stefano Ricci al contrabbasso. Sono loro l’anima di un gruppo che o l’ami o l’odi. Senza misure... E noi lo amiamo. Perché innanzitutto riesce con una facilità disarmante a mischiare jazz, rock, punk, blues, classica con nonchalance assoluta e invidiabile, da Mozart a Battiato, dai Nirvana agli Area. La caratteristica dei Quintorigo è assolutamente innovativa, rappresentando l’origine di un, per così dire, movimento sperimentale-elettronico-progressive. Quello che ci hanno offerto dal ’96 ad oggi sono album, canzoni, progetti da far inchinare i massimi artisti del nostro Paese. E la critica li ha ricompensati più e più volte... la critica, appunto. Ma fatte le giuste premesse parliamo di questo album a cui la band è arrivata e che celebra il più virtuoso dei guitar hero, con la loro carica prepotente, l’unico fiato che urla, gli archi che stridano e la voce, le tante voci,  sempre puntuali ed azzeccate che ci fanno capire che i Quintorigo sono vivi e ci regalano "questa nuova straordinaria esperienza". In “Experience”, pubblicato dall’etichetta Métro/Self, infatti i nostri non si smentiscono, né tanto meno stancano: loro sono questi, un sax e tre archi, così, sporchi e puliti, così aggressivi in “Foxy Lady”, “Fire”, “Hey Joe”, “Purple Haze” (gli archi diventano ipnotici) e “Spanish Castle Magic”, così delicati come in “Angel” e “Third Stone from the Sun”, elettronici in “The Star Spangled Banner” (rimane nell’intro woodstockiano l’inno americano ma completamente distorto), ironici e “spettrali” in “Voodoo intro”, melodicamente sperimentali in “Voodoo Child”, con tanto di solo di Vincenzo Vasi, “Manic Depression”, “Red House”, fino a raggiungere l’apice del disco con “Gypsy Eyes” che esplode nei suoni e nei colori e con “Up from the skies” solo prepotentemente… jazz… Da segnalare l’ottima prova  di Moris Pradella (qualcuno di voi ricorda una sua partecipazione a Domenica in con Pippo Baudo?) che possiede una voce graffiante ed intensa, molto più secca  di quella a cui ci aveva abituato De Leo e per finire metteteci anche Michele Francesconi che fa il suo e lo fa bene e non dimenticate ovviamente Eric Mingus, solo una naturale conseguenza alla realtà dei fatti, la sua presenza.

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