Qualcuno leggerà e rileggerà con più attenzione il titolo di questa recensione, qualcun altro storcerà il naso, altri ancora crederanno che si tratti di un disco pop-rock. Ebbene non è così. Innanzitutto perché l’Enrico Ruggeri di cui si parla non è il più noto cantautore milanese di “Mistero”, ma bensì l’ex componente degli Hogwash, band con all'attivo ben quattro dischi indie rock piuttosto “intimisti ed irruenti”, come loro stessi affermano. Adesso Ruggeri torna dopo un periodo di stand by, dove probabilmente si sarà dedicato al suo lavoro di artigiano ma sempre alla ricerca di nuovi suoni, approdando a questo disco da lui prodotto con i pianoforti ed i synth del suo compagno di viaggio Elio Rosolino Cassarà di Mazara del Vallo, un pittore in realtà. Insieme creano questo disco, a cui anche le nostre orecchie fanno fatica ad abituarsi. “Musteri Hinna Föllnu Steina” è un suono. Un unico lungo suono, come stare seduti nelle giganti distese islandesi a guardare il nulla aldilà del mare. E difatti il titolo significa “Il Tempio delle pietre cadute”, tradotto dall’islandese. Come pietre cadute questi suoni si perdono nel nulla dell’immenso e vibrano, dove tu sei solo con te stesso, con la tua coscienza e ti perdi, sprofondi nelle lande desolate dell’irrazionale, dell’onirico. Un senso di angoscia pervade il disco che di certo non si può ascoltare nell’i-pod… non è facile da comprendere, è ancor meno facile da accettare… ma ne consigliamo l’ascolto magari davanti ad un quadro come questi, opere di Cassarà in cui il paesaggio si annulla, la realtà sfoca ed il misticismo regna. In questo disco c’è il mondo intero, l’universo che c’è dentro di noi…se solo l’ascoltassimo…
“Katla”: intro di synth profondi, “aerei”… nel disco non si emettono parole, solo i suoni digitali dei field recordings e i passi nel grande tempio della valle perduta in chissà quale posto nel mondo, come piccole scosse…
“Eisen”: dall’olandese chiedere…esigere l’abbandono… è tutto un suono… un’unica sonorità noise, di sfocature soffuse, di tamburi lontani… e non potrebbe essere altrimenti. Il disco infatti costituisce la prima pubblicazione di “Neverlab Avant”, ovvero la sezione sperimentale dell’etichetta “Neverlab Dischi”…
“Musteri hinna föllnu steina”: come soffiare dentro ad una bottiglia, per mandare un messaggio all’infinito… il synth in questo brano diventa ossessivo, lungo, forse troppo, come una sirena che preannuncia pericolo, paura che cresce, come una voce muta che cerca di urlare…
“Krvavi obred”: l’inizio dà l’impressione di essere all’interno di un tempio di monaci tibetani… o nel corso di un rito mistico… in ogni caso “krvavi obred” in slavo significa propriamente “sanguinoso rito”…che poi sembra trasformarsi in un aereo che accende i motori per partire… ma qui è solo la mente a partire, a fuggire via verso la solitudine ceca, pur di non vedere aldilà del sogno, l’incubo della realtà…
“Olja”: noise di venti che corrodono l’anima… qui i suoni si fanno più forti e tetri… ogni brano sembra il crescendo del precedente… qualcosa che matura, che sale, che cresce per l’appunto e si diffonde in maniera prepotente…a macchia d’olio, “olja”,… forse è questo quello che ci suggerisce il titolo svedese… il finale coglie l’inizio di “Krvavi obred”…
“Die dämmerung”: l’alba, come la chiamano i tedeschi, si sveglia con i rumori della città che invadono le valli… segno dell’uomo che crea e distrugge… l’unica via è stringersi nell’io…
“Muto carme”: sonagli che disturbano (e turbano davvero), non per nulla Ruggeri e Cassarà lo definiscono carme, ma qui la poesia è muta e non c’è trionfo… sicuramente il brano più inquietante di tutto il disco…
“Svarti hringurinn”: dall’islandese “richiamata”… suoni di ferraglia di treni che si fermano in città fantasma… perché, come vogliono gli autori, lo stato del disco è quello della subcoscienza… una percezione indistinta…sul finale si può ascoltare chiaramente uno squillo di telefono… qualcosa richiama dal sonno in cui cade la razionalità dell’uomo… che spesso si fa incantare, che si omologa…
“Lauthnitha”: è un brano indefinibile a dir poco… anche se sappiamo benissimo che il percorso in cui ci porta il disco ha un desolato senso unico… qui si ricade nel baratro, si sprofonda, è alienazione totale… agli ansiosi non è un disco consigliabile… si risveglierebbero da un incubo… o forse da uno tzunami… ci piacerebbe chiedere a Ruggeri e Cassarà se hanno pensato, componendo questo pezzo, alle coste della lontana Indonesia... terrore recente di interi popoli…
“Kobold”: pezzo molto “ambient” ed ancora inquietante… immaginate un luogo immenso, come una grande caverna, in cui i minimi rumori sono assordanti e una voce riecheggia… sarà forse un kobold… un folletto… quella vocina nella nostra mente…
“Snaefellsjökull”: il titolo impronunciabile ed i synth ci portano ai primi due brani, alle valli islandesi… Snaefellsjökull è un vulcano che culmina con un ghiacciaio sito vicino a Reykjavik… citato anche nel famoso romanzo di Jules Verne “Viaggio a centro della terra”… perché è di questo che si parla… di un viaggio interiore e nell’universo dentro di noi… un fuoco ghiacciato quindi, che in realtà è un ossimoro, come tutto questo disco… non chiedeteci se ci è piaciuto o meno, il punto non è questo. E’ un disco sperimentale di cui in ogni caso non puoi non parlarne perché non ti lascia indifferente… il punto è: sarà riuscito il “duo” nell’intento di far crescere nell’ascoltatore tutti i sensi di negazione, solitudine, irrealtà, paura, angoscia, nulla? Per noi la risposta è positiva…
Commenti
Posta un commento