Fabri Fibra - Guerra e Pace



C'è misura, quasi compostezza, maturità perchè no? Ma anche patina, decisamente troppa e se la crescita coincide con l'avallare certe sonorità standard, magari da successo garantito per la casa discografica, i nostri dubbi crescono. Perchè Fabri Fibra sembra quasi un leone in gabbia, ovattato come "la sua voce", infatti la confezione proposta è quanto di più scomodo per le invettive del rapper di Senigallia nella sua comodità di ricezione, nel suo essere "pop" e ahimè consolatorio per intenderci, con tanto di aspirazione alle masse. Non stiamo parlando ai nostalgici degli Uomini di mare ne del Fibra degli esordi sia ben inteso, parliamo di un artista comunque ormai abbondantemente mainstream, ma la produzione di questo disco ci risulta particolarmente indigesta nel suo voler dare omogeneità, coerenza stilistica a tutti i costi perchè finisce con l'essere un ossimoro bello e buono che si propaga per tutto l'album, dove il leone non riesce a liberarsi e l'ascoltatore finisce col non respirare. Fondamentalmente dunque ci troviamo di fronte a un album uniforme, livellato, che appare come asciugato di energia in produzione... chiariamo subito, la proposta del nostro è viva e vitale, ha forza, pur imbastardita di dance ammiccante e frivola, (fastidiosa spesso e volentieri) dove  a volte arricchisce pure per carità come in "A me di te" dove le soluzioni strumentali sono davvero interessanti, ma è una goccia, più spesso infatti appiattisce, del resto: "questa base è troppo per il mio stipendio" o ancora "vorrei fare tutto a modo mio come Frank Sinatra" sembra quasi cantargliele Fibra. .. E a dirla tutta poi, mancano alla fine della conta (pardon della fila) proprio e paradossalmente i cosiddetti singoli o almeno secondo i nostri canoni, il tutto è assolutamente orecchiabile intendiamoci ma non scocca la scintilla per così dire... non c'è l'appeal compositivo di Vip in trip ne la semplice ruffianeria tamarra e appiccicosa di Le donne, benchè sul versante dance o meglio hip hop robotico col botto "i pezzi" per ballare non manchino di certo. Restano le rime, quelle sempre di alta scuola e all'altezza su ogni beat, le innumerevoli citazioni che passano con nonchalance dal cinema alla pittura alla tv alla scienza senza tralasciare ovviamente gli altri cantati, ce ne è per tutti... ma ci sono anche Neffa ed Elisa e ci sono i Baustelle di Baudelaire. Restano dunque le parole, che sono il discorso portante di questo album che si snoda tra ispirazione, depressione e mezzi per sfuggirne, nell'ansia di mantenere il successo con sullo sfondo la nostra italietta che ovviamente non ci fa una bella figura "dove stanno le nuove proposte intendo in politica non i cantanti". Da un punto di vista testuale il nostro è sempre pungente e assesta sempre ottimi ganci, ma per quello che ci riguarda il disco a livello di suoni e beat è davvero tutto troppo uguale e standardizzato e anche le parole "importanti e ficcanti del nostro" finiscono inesorabilmente col perdersi ammiccando a "quello che funziona" evidentemente oggi in Italia... e se non è un ossimoro questo!?!

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