Simone Cristicchi - Album di famiglia



La sensazione serpeggiava da tempo, ma il Cristicchi surreale e sarcastico degli esordi non esiste più davvero, a maggior ragione dopo l'ascolto di questo Album di famiglia che è un deciso passo avanti rispetto all'ultimo lavoro, intendiamoci, ma dove il nostro sancisce di fatto l'evidente rottura col passato e per chi ha apprezzato "quel Cristicchi là" qualcosa tra questi solchi non quadra. Maturità è una parola che usata in ambito artistico ha una doppia valenza e del resto queste canzoni non fanno eccezione, perchè siamo di fronte a un autore maturo davvero, i testi hanno pochissime sbavature e osano temi importati e gli arrangiamenti sono sempre ben curati e impreziositi da piccoli accorgimenti strumentali... d'altro canto il tutto nel suo insieme appare però un pò troppo monocorde, piatto, nel tentativo di riproporre la grande canzone d'autore italiana, fuori luogo o poco originale nell' eccessiva ricerca della melodia facile a tutti i costi e anche nella parte finale del disco, dove il nostro tenta in qualche modo di vivacizzare l'ascolto, non c'è quel guizzo che faccia davvero la differenza. Rimane un lavoro comunque ampiamente sufficiente, ma sinceramente ci aspettavamo di più:

"Mi manchi":"come adesso le parole, come a me manca il tuo amore", un brano sostanzialmente folk infarcito di metafore, alcune abusate altre meno e azzeccate sicuramente ("mi manchi come a un altare la sua chiesa come a Dio la mia preghiera), con echi di Sergio Endrigo nell'arrangiamento del ritornello:  
"lo nasconderò questo grande amore perchè il mondo non veda, perchè tu non ci creda quando ti dirò che ti amo ancora e che mi manchi"

"La prima volta che sono morto": "ma dopo tre giorni non sono risorto" troppo debitrice per musica e melodia delle "Cose in comune" cantate anni or sono da Daniele Silvestri, il brano ha un gran testo e un appeal radiofonico invidiabile:
"ieri per caso ho incontrato mio nonno che un tempo ha fatto il partigiano, mi ha chiesto l'avete cambiato il mondo? Nonno, dai lascia stare, ti offro un gelato"

"Piccola canzone": minimale e scarna, abbastanza banale nel suo dipanarsi o "semplice" come direbbe lo stesso Cristicchi, jazzata, dal testo quasi jovanottiano:
"e innamorarmi ogni giorno di te sceglierti ancora ancora una volta e credere insieme che tutto è possibile che tutto l'amore che abbiamo davanti è facile come scrivere"

"Laura":" eri carne da pellicola da mangiare con gli occhi"  dedicata a Laura Antonelli e alle sue vicissitudini giudiziarie,"condannata per dieci anni ad impazzire" col ritornello affidato all'invocazione del nome è una canzone tutta giocata sul pathos della vicenda:
"per la tua lapidazione bastò un sasso"

"Magazzino 18": "ci chiamavano fascisti eravamo solo italiani dimenticati dalla memoria come una pagina strappata dal libro della storia" toccante e intensa, una folk ballad dal retrogusto popolare per raccontare la nostra migrazione:
"Ah come si fa se ancora cerco il mio cuore dall'altra parte del mare"

"Cigarettes": quasi il continuo della traccia precedente, il testo infatti è tratto da una relazione sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, dove oggi l'America siamo noi per i nuovi migranti... suggellate da quel "Tu vuò fa l'americano nel ritornello":
"ma soprattutto non hanno saputo selezionare chi entra nel nostro paese per lavorare"

"Senza notte nè giorno":  "e barattare ogni volta il cuore per veder mattina", arguta metafora sulla figura del minatore, dai toni jazzati e morbidi, col pianoforte a risaltare, ariosa e melodica:
"volare è un sogno che gli uomini fanno scendere in fondo è soltanto un bisogno che non prevede ritorno e ci lascia qui senza notte nè giorno"

"Scippato": "e giocavo a nascondino in quel cassonetto in cui mi hanno trovato" una bossanova leggera, sul tema dei bambini non voluti, vista dal punto di vista di un uomo che ha affrontato il dramma dell'abbandono ed ora si sente in dovere di ringraziare comunque la vita, Cristicchi usa appositamente un linguaggio fanciullesco e poetico al tempo stesso e questa unione non sempre convince del tutto: 
"siamo palloncini persi in un volo infinito nel cielo"

"La cosa più bella al mondo": io dal destino ho imparato a  da mia madre a non  cedere dalla bellezza non so come difendermi" pop melodico abbastanza scontato nel suo dipanarsi, con il bridge finale che ricorda "Il regalo più grande" di Tiziano Ferro

"I matti de Roma": "son la smorfia un pò sdentata delle strade di città per ricordarsi che il brutto male è la normalità" marcetta popolare ricca e divertente cantata con l'accento romano, che torna con ironia e forza su un tema ampiamente trattato dal nostro nel corso della sua carriera:  
"se tu mi chiedi chi so i veri malati dipende da che parte quel cancello"

"Le sol le mar": in italiano maccheronico, ritmo trascinante e scale arabe, il risultato pur non brillando di originalità è comunque piacevole:
"lu vino che abbonda la mora la bionda la senti che brinda la barca che affonda"

"Il sipario": "mai più meraviglia negli occhi sarà"... "muore un teatro nell'indifferenza dei numeri... e famiglie abbonate ai divani", le atmosfere circensi, di certo uno dei brani migliori del lotto, per la perfetta armonia raggiunta tra testo e musica:
"dove non si mangia con la poesia ci si abbuffa con la realtà"

"Il testamento": chiusa del brano precedente con una poesia in romano di Mauro Marè: "la vita è un soffio, un mozzico un respiro con la morte diventerà un sospiro, un profumo, una brezza, una canzone"... poi dopo un pò, come traccia fantasma, parte un canto coi cori in latino e un mood elettronico:
"fortuna che si muore ma quanto tempo che ci vuole"

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