Ulan Bator - En France / En Transe



Amaury Cambuzat, stavolta in compagnia di Diego Vinciarelli al basso, Luca Andriola alla batteria e Nathalie Forget alle voci e soprattutto all'Ondes Martenot, (per chi non lo sapesse, una sorta di sintetizzatore ante litteram utilizzato tra gli altri anche dai Radiohead e da Vinicio Capossela) torna "finanziato dal pubblico" (ovvero tramite campagna di successo su Musicraiser) festeggiando vent'anni di carriera in un'orda oscura e maliarda di suoni, dove è difficile entrare ma ascolto dopo ascolto è un piacere quasi perverso immergersi più volte nelle acque sporche che gli Ulan Bator con questo EnFrance/EnTranse hanno abilmente "inquinato". 
Un lavoro ricco di fascino oscuro, che disturba e appaga nello stesso tempo, un incubo da vivere ad occhi spalancati e orecchie spiegate. 
A cominciare dalla libertà espressiva di"Take Off": 10 minuti buoni...  che parte come una marcia rallentata per poi crescere di toni oscuri e intensità come da loop preposto quasi a far da guida, novello Virgilio, senza tuttavia deragliare completamente, una sorta di lancinante scavare nelle profondità... 
con "We R You" si prosegue il viaggio, il ritmo è marziale, l'incedere assolutamente ipnotico e disturbato al tempo stesso, con "Ah Ham" c'è invece un certo raziocinio nell'alternarsi di più momenti e atmosfere, il tutto è ben calibrato, eccellente nel suo procedere incalzante tra le dissonanze, "Coläre" è un parlato su un mood dilaniato e sospeso che fa il paio con la luciferina "Jesus BBQ" con il testo di Nathalie Forget, in entrambi i casi si può parlare di sperimentazione pura e "alta".
"Bugarach" vive di un ritmo martellante, robotico, avvolto nelle distorsioni, l'incedere ben presto diventa convulso e l'atmosfera claustrofobica deflagra in un crescendo nervoso e inquieto, una delle migliori tracce dell'album, "Song For The Deaf" ha un inizio minimale, e si snoda tra vocalizzi in loop e accenni di melodia, complice il cantato, è la traccia più accessibile del lotto... "Fakir" ha un non so che di sotterraneo, quasi provenisse da un altro spazio, da un'altra dimensione, la titletrack che chiude l'album " Enfrance Entranse" è una sorta di mantra, tra  bagliori e oscurità, quasi un dimenarsi tra le pieghe e... le piaghe... mentre una coperta nera ci ha già coperto la testa augurandoci i migliori incubi possibili, chapeau.

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