Difficile
non rimanere incantati con canzoni come queste, difficile anche
trovare aggettivi che possano quanto meno rendere l'idea di tale
spessore narrativo, emozionale ed evocativo... impossibile non
lasciarsi trasportare, canzoni che sembrano abbracciare
l'ascoltatore, quasi per consolarlo, dal dolore che le attraversa,
dal sangue e dalla forza che ci vuole... la speranza... diventa
inevitabilmente un rapporto intimo, di complicità e fierezza,
attraverso le lacrime. “War Tales” dei Threelakes and the
Flatland Eagles è una perla nerissima di un bagliore infinito, che
vive di contrasti, che racconta quanta fatica, quanto costa provare a
rinascere, insomma Luca Righi con Andrea Sologni e compagni deliziano, senza se e
senza ma:
“Wild
water”: giocata su efficaci scambi chitarristici viene impreziosita
da piccoli orpelli strumentali nella strofa per un ritornello che
esplode letteralmente: “Oh again, again, we're dust dancing in
light”
“The
walk”: la lap steel di Luciano Ermondi dona un folk country rock
tirato e d'impatto alla Calvin Russel... vocalmente di una profondità
viscerale... “Oh my dear c'mon it's late and it's time to walk”
“The
lonesome death of Mr Hank Williams”: folk ballad morbida e
avvolgente: “And I'll dream to be a farmer again, and i'll dream to
be child again”
“To
do”: jazzata e sinuosa, oscura, con la tromba a far da ottimo
contrasto, con la chitarra elettrica nel finale ad aggiungersi e a
sposarsi idealmente... “Even now i'm trying to find a way to say
goodbye, to my sweet, to my soul, to my eyes”
“The
day my father cried”: con l'armonica a bocca a riempire gli spazi,
è una folk ballad delicata e dolorosa, una sensazione di intimità
pervade l'ascolto: “Mother don't be sad one day I'll come back, our
life now can't wait”
“By my side”: blues scarno e “malato” alla Pj Harvey, un mantra ammaliante e lancinante: “In this time of my life I need you need by my side”
“D-Day”:
altrettanto minimal, ma dai toni soffusi e complici, con variazioni
melodiche intense e affascinanti per un finale strumentale che si
apre al ritmo e ai fiati, un arrangiamento davvero riuscito: “Boys
don't be scared in this shiny sunrise we are going to die, oh not
dying, oh no bleeding at all, oh no I'm not dying”
“March”:
l'ukulele dona al brano una sensazione di solitudine molto alla
Beirut, che sembra a un certo punto disperdersi lancinante e che
rende bene il messaggio testo: “I was sure that won't be the one, I
was a dark and lost soul, I was sure that I won't to be alone”
“Horses
slowly ride”: armonica, ritmo e melodia, musicalmente ampiamente
godibile: “Well now ships going wilde while the horses slowly ride
every year, every month, every night”
“Rose”:”no
pain, no sweet tears anymore, anymore” con un lavoro di chitarre
veramente di fino che va ancora una volta ad interagire con la tromba
di Emanuele Reverberi e gli incontri vocali di Francesca Amati si
chiude come meglio non potrebbe questo album e non è di certo una
frase di circostanza
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