Un'artista
a 360°. Possiamo definire così Mita Medici. Ha iniziato con i
fotoromanzi, era una ragazzina quando ha calcato il primo set
cinematografico per poi approdare alla musica con la collaborazione
di Sergio Bardotti e Franco Califano (il suo primo grande amore). Poi
la televisione al fianco, tra gli altri, di Pippo Baudo ed infine il
Teatro. Da lì in poi nasce un'altra Mita, la donna "vissuta"
di oggi, quella che abbiamo incontrato poco prima di interpretare un
impegnativo monologo per la regia di Manuel Giliberti, ovvero "In
scena". Mita ci ha parlato di carriera e teatro, di crisi e
politica, di cultura e... di sogni.
Dal Cinema al Piper, dalla dalla Tv al Teatro. Come è cambiata in rapporto a questi mezzi espressivi e dove si sente “a casa sua”?
“Sono cambiata e cresciuta sicuramente artisticamente e tutto quello che ho fatto mi ha dato tanto. Ho iniziato a 16 anni con il primo film, volevo fare l'attrice ma volevo anche cantare, diventare una rock star. C'era in me una dose di incoscienza e di consapevolezza nello stesso tempo. E poi mio padre era un attore e vivevo in quel clima e non potevo non amarlo. Volevo fare questo. Per quanto riguarda il cinema, in quegli anni era tutto fatto con professionalità, dal regista al macchinista. Era davvero un momento magico. Oggi siamo tempestati di tante cose inutili, di superfluo, si è perso negli anni la capacità di capire cosa piace e cosa non piace”.
Ha debuttato in teatro con Garinei e Giovannini nel '72. Come è stato lavorare con dei mostri sacri del Teatro italiano e mondiale?
“E' stato importante per crescere e capire quanto è bello fare questo mestiere e la gioia che bisogna mantenere sempre in quello che facciamo anche nel lavoro più tosto. Iniziare con Garinei e Giovannini o con altri grandi personaggi, per me che ero una ragazzina è stata un'esperienza incredibile che mi ha fatto capire non solo che ci si deve divertire ma che bisogna avere anche una certa autocritica per il proprio lavoro, mantenere un certo distacco”.
Oggi il Teatro per effetto della crisi sembra assumere un ruolo secondario. Ma l'altra faccia della crisi mostra anche che le persone vanno al cinema o al teatro per evadere dalle difficoltà della vita quotidiana. Come vede l'approccio del pubblico, oggi, al Teatro?
“Il problema sta a monte: la crisi è provocata innanzitutto da una mentalità truffaldina, La classe politica ha frenato così la crescita dell'Italia creando un clima di crisi economica, morale, culturale in un Paese che potrebbe vivere di rendita con le sue ricchezze artistiche. Però il Teatro sopravvive per le persone che vogliono ancora sognare, il Teatro ti dà questa possibilità perchè un testo può esprimere emozioni, sentimenti diversi”.
Dal Cinema al Piper, dalla dalla Tv al Teatro. Come è cambiata in rapporto a questi mezzi espressivi e dove si sente “a casa sua”?
“Sono cambiata e cresciuta sicuramente artisticamente e tutto quello che ho fatto mi ha dato tanto. Ho iniziato a 16 anni con il primo film, volevo fare l'attrice ma volevo anche cantare, diventare una rock star. C'era in me una dose di incoscienza e di consapevolezza nello stesso tempo. E poi mio padre era un attore e vivevo in quel clima e non potevo non amarlo. Volevo fare questo. Per quanto riguarda il cinema, in quegli anni era tutto fatto con professionalità, dal regista al macchinista. Era davvero un momento magico. Oggi siamo tempestati di tante cose inutili, di superfluo, si è perso negli anni la capacità di capire cosa piace e cosa non piace”.
Ha debuttato in teatro con Garinei e Giovannini nel '72. Come è stato lavorare con dei mostri sacri del Teatro italiano e mondiale?
“E' stato importante per crescere e capire quanto è bello fare questo mestiere e la gioia che bisogna mantenere sempre in quello che facciamo anche nel lavoro più tosto. Iniziare con Garinei e Giovannini o con altri grandi personaggi, per me che ero una ragazzina è stata un'esperienza incredibile che mi ha fatto capire non solo che ci si deve divertire ma che bisogna avere anche una certa autocritica per il proprio lavoro, mantenere un certo distacco”.
Oggi il Teatro per effetto della crisi sembra assumere un ruolo secondario. Ma l'altra faccia della crisi mostra anche che le persone vanno al cinema o al teatro per evadere dalle difficoltà della vita quotidiana. Come vede l'approccio del pubblico, oggi, al Teatro?
“Il problema sta a monte: la crisi è provocata innanzitutto da una mentalità truffaldina, La classe politica ha frenato così la crescita dell'Italia creando un clima di crisi economica, morale, culturale in un Paese che potrebbe vivere di rendita con le sue ricchezze artistiche. Però il Teatro sopravvive per le persone che vogliono ancora sognare, il Teatro ti dà questa possibilità perchè un testo può esprimere emozioni, sentimenti diversi”.
Lei
porta in scena... “In scena”, la storia di un amore in senso lato
di una donna che si chiede quale sia la verità. Sono ricordi veri o
desideri e speranze. Ma nella vita di tutti i giorni, non accade
spesso di volere vivere una vita che non è quella che possiamo
“permetterci”?
“Racconto
un amore che si riversa dalla donna verso l'attrice e dall'attrice
verso il suo personaggio. Il peccato grave oggi è aver ucciso la
possibilità di realizzare i sogni, di poter cambiare, di
intraprendere strade per potere realizzare le proprie aspirazioni.
Oggi una casalinga non si può permettere neanche di realizzare un
viaggio. Le donne, ma anche gli uomini, i bambini, devono uscire
dalla loro condizione e non essere servi. Il Teatro, il Cinema, la
Musica fanno capire quante possibilità abbiamo per esprimerci e
dobbiamo lottare per essi ed io voglio combattere in questa società”.
Oggi
esistono tanti teatri che possiamo definire indipendenti. E' anche
questo il futuro del Teatro italiano?
“Senz'altro!
E' questo il futuro del Teatro. E' importante creare realtà come
queste (ma non edificare ancora, per carità) ed intraprendere una
carriera culturale. Ci vuole una società sana e lo Stato si deve
occupare della cultura ma non in modo assistenziale. Il Teatro deve
avere una sua indipendenza e ci deve essere un mercato libero ed
aperto, solo così si possono formare menti sane e non solo numeri su
numeri. Non se ne può più. Bisogna risvegliare le coscienze ed
educarle ad una pacifica ribellione. I teatri indipendenti sono
realtà bellissime dove si può lavorare con dignità”.
Ha
incontrato negli anni tanti artisti. Ha trovato in scena delle
affinità con qualcuno in particolare? “Si,
ho conosciuto tante persone che mi hanno lasciato tanto, anche agli
Actors Studio in America. Ma non posso non ricordare, tra i tanti,
Paolo Poli, l'indimenticabile Franca Valeri o il piccolo genio che è
Sergio Rubini”.
Per
finire, le chiediamo un ricordo di un grande artista, per certi versi
controverso e che ha conosciuto bene: Franco Califano, le cui poesie
sono di una profondità incredibile ma anche dolorosi e nello stesso
tempo “magnifici” pugni allo stomaco. “Ho
conosciuto Franco che ero una ragazzina.
Abbiamo vissuto una
bellissima storia d'amore. Era una persona generosa, riservata ed
amava tanto i giovani, aveva una grande capacità di attirare i
giovani. Non sgomitava per essere sulla scena, in questo è stato
davvero un esempio. Ed oggi i giovani musicisti si sono accorti di
quello che ha dato nel tempo”.
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