Parafrasando
Dante, “per seguire virtude e conoscenza”, gli EUA, band
dall’azzeccato progetto cantautorale con venature swingate,
talvolta spanish, pugni allo stomaco rock-punk, sforna il secondo
album “Tanto valeva viver come bruti”, lavoro ironico,
favoleggiante, incalzante, come i musici parmensi che compongono la
band, Attilio Poletti (voce e autore), Max Bertoli (chitarra
elettrica e kazoo), Luca Milazzo (chitarra acustica), Giovanni
Invidia (basso), Roby Bennati (tastiera), Pol Urbano (batteria). Un
mix ben costruito di ritmi che non stonano e che al contrario
sorreggono bene un disco che è diviso in due parti, un po’ come
l’uomo tutto ragione e sentimento, come i se ed i ma, come la
sinistra e la destra, il bene ed il male... facce insomma, della
stessa medaglia. Un disco registrato quasi alla vecchia maniera, in
modo “primordiale”, pulito nella sua imperfezione. E così
l’album dei nostri è diviso nelle sezioni
"Disomogeneizzati” (da “Capolinea” a “Cremisi”) e
“Poemi epico-cavallereschi” (da “Il mallo” a “Storia”),
ognuno con un sapore diverso, tra il serio ed il nonsense… così è,
in fondo, la storia dell’uomo…
“Capolinea”:
brano che ricorda molto “Ci vuole un fiore” di Sergio Endrigo…
“Senza una donna, senza una casa”… chitarre distorte e riff
possenti e vivi, che piacciono, che sfornano ritmi ska punk alla
Clash per intenderci… a metà canzone, accenno ragtime del piano ed
assoli epici nel finale… piccola vecchia borghesia…
“Diranno
ma che bella la casetta in Canadà per ogni puttanata che ci dà la
società…”
“Extrasistole”: di caposseliana memoria con chitarre
spagnoleggianti e sempre puntuali che diventano sempre più ossessive
ed il cuore sì che pompa… fino a quando l’elettrica mette su,
scale su scale…
“Prendi
un pezzo di Strudel che ti tirerà su su su su”…
“Ingranaggi”:
un incipit di cori annuncia: “Viviamo per le macchine che muoiono
per noi, che stabiliamo rate per possedere macchine che portano a
lavoro dove ci conquistiamo stipendi che spendiamo ad acquistare
macchine che offrono lo svago dal tedio di questi ingranaggi”…
diciamo che il testo vale già la candela… strumentazione che rende
l’idea del tempo scandito… e giù assoli tetri… anche la
batteria si concentra sui ticchettii…
“Cooperativa
sociale”: ci si sposta su toni reggae dove in questo caso però la
chitarra fa quello che le pare… il lavoro non nobilita l’uomo per
gli EUA… sono ben dosati i campionamenti…
“Seduti
sui prati appena falciati mangiamo insalate di riso”…
“Decalogo”:
“Non vi domandate mai chi vi ha fatto fare di venire qui a cercare
quella pace che non c’è dentro di voi… suoni “pasticciati”,
ritmi candidamente in levare che si apre in un vortice che inizia il
brano seguente…
“Cinematica
dei Manipolatori”: gli ingranaggi mettono in moto non solo auto ma
anche gli uomini che corrono dietro a loro…
“Antimondo”:
chitarre sempre in primo piano, sezione ritmica più in evidenza,
cori esilaranti, costruiscono un brano dove la voce è in pieno stile
Battiato e dal sapore vagamente anni ’80…
“Calo
delle attività motoria e celebrare si denota nella fase media del
giorno feriale… non ho fatto progressi con c’ho che mi
assomiglia…”
“Cremisi”:
“Tua moglie è innamorata di un tipo, il lavoro fa schifo, tua
figlia esce con un cretino”… guitar funk e serie di arpeggi…
poi d’improvviso la scena si fa surreale… organo da chiesa, kazoo
e rintocco di campane…
“Il
Mallo”: qui si apre la seconda sezione… più “epica”, dove
gli strumenti si ammassano per divenire progressive… meno
convincente anche se il testo è sempre più dissacrante… “E ti
eri appena risistemato, prima il caffè poi il bicarbonato, quando
tua zia con la stampella ti pesta un callo, e con la testa serrata
nel mallo”…
“La
Cena dei Peracchi”: kazoo in evidenza… ed anche un certo chissà
che di “Ci son due coccodrilli ed un orango tango”… marcetta
fumettosa e comica con un riff di chitarra elettrica che entra subito
in testa… “Patrizio Peracchi parlava dell’inconscio però non
era molto conscio di essere un Peracchi”… un modo davvero ironico
per descrivere una famiglia apparentemente “normale”…
“Fuori
dal Tempo”: qui la voce di Attilio Poletti abbinata alla melodiosa
tastiera, somiglia molto al primo De Gregori… abbiamo detto che il
disco sembra essere registrato in vecchio stile… ecco, questa
canzone ne è un esempio e spezza ed è bella, bella, bella… e
maestosa… suoni sullo sfondo come violini… “Ma se abito fuori
dal tempo, non è il momento, non è il momento… non è il momento
di fingersi amati e lottare per stare tra noi come se ci fosse
qualcosa ancora… tra noi come se non fosse successo niente…
finale da valzerino, da “Buonanotte fiorellino”…
“Nina”:
arpeggi e suoni ombrosi… la voce precedente dimentica la dolcezza e
s’incazza per “Nina ho chiesto solamente di fartela passare di
non abbandonare questa nave”… e si trasforma dark con effetti a
non finire… un altro bel gioiellino…
“Stella
d’Inverno dell’Ovest”: intro dolce, piglio cantautorale ancor
più forte soprattutto grazie a Poletti… ballata “fantastica”
alla Branduardi… “Non è l’inverno, non è la mancanza d’amore
non è, non è la sera, non è un altro mese che passa non è,
Martina e l’arrendersi lento…”… quando ascoltiamo canzoni
così belle ci chiediamo sempre perché non vengono passate in radio
al posto di tanta robaccia…
“Storia”:
l’organetto racconta la storiella: “Vi ho visti illudervi ad ogni
pensiero, dare la colpa alla morte, al potere, ma non ho visto
neanche un ometto dire ho sbagliato, va bene, lo ammetto”… ma poi
sterza in ritmi molto anni ’80, un po’ funk, colma di effetti:
“Mi sento vecchio come il Governo, come un contratto, come la
Chiesa”… La storia insegna? Sicuramente “Grava sugli uomini”…
brano che termina (con arpeggi seicenteschi) degnamente un gran
lavoro… complimenti agli EUA.
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