- “Ma
Jodie non è un nome da donna? Come Jodie Foster?
- No è da
uomo come Joe Di Maggio”
Dopo
i due “Immaturi”, Paolo Genovese fa un salto di qualità notevole
con questo “Tutta colpa di Freud”, divertendo con stile e garbo
narrativo, riuscendo a trovare rispetto ai suoi precedenti lavori
(che calavano o si perdevano nella seconda parte), trovando gli incastri
giusti, con un senso della misura che non annoia, anzi il film
aumenta d’interesse nel suo dispiegarsi verso un finale che
scontato alla fine non è. Piace la commistione dei diversi registri
usati, senza scadere nell’ovvietà, nel senso che ci sono parti
televisive, altre decisamente sentimentali, oltre la commedia
ovviamente, e fa capolino e non dispiace di certo anche una visione
autorale. Riuscendo suggestive anche molte inquadrature, Genovese nel suo racconto è
credibile, nonostante le storie siano da "Manuale d’Amore", perchè
soprattutto è un film ben scritto, da un soggetto di Leonardo
Pieraccioni e Paola Mammini, parlavamo di incastri poc’anzi non a
caso. Il meccanismo di un padre psicanalista (un magistrale Marco Giallini) e tre figlie alle prese
con problematiche amorose che si rivolgono a lui in cerca di
consigli, fingendo quasi di dimenticare che sono comunque figlie…
mentre il padre a chi può confidare le sue pene dice: “Lo sapevate che
la malattia più diffusa al mondo è l’amore?”… neanche al
coetaneo cinquantenne Alessandro Gassman, (di cui la figlia 18enne,
Laura Adriani è l’amante) che prende in cura per farlo tornare dalla
moglie, Claudia Gerini, di cui è innamorato segretamente, mentre
Vittoria Puccini: “Ho 29 anni da circa tre anni potevo scegliere di
vendere polli arrosto e invece ho scelto di vendere libri anche se mi
piace il pollo arrosto“... sogna l’amore romantico dei libri e si
innamora di un sordomuto. La figlia più grande, Anna Foglietta,
lesbica: “Ho fatto l’amore con una donna la prima volta, mi è
piaciuto e mi sono fermata lì, forse sono gay per pigrizia”, delusa
dalle donne prova a cambiare sponda… funziona... anche il film, nonostante tutto,
ovvero i casi limite narrati, perché trova una sua identità
precisa, nella divisione delle tre età delle protagoniste, che
rappresentano anche a dirla tutta tre generi, quello di stampo
televisivo, con la figlia adolescente, “Sono nata nel ’95, l’anno
in cui i miei si sono lasciati” che si innamora di un uomo
maturo, è inevitabile che si pensi a una fiction, visto anche
il tono leggero usato, la Puccini è zucchero e miele, il registro
sentimentale è lapalissiano, ma senza esagerare: “Io sono sordomuto
- Io ho fame“ così come è chiaro che con la Foglietta, sia
il comico a prendere il sopravvento: “Prendi qualcosa? No per ora
niente magari dopo una coca - Intendevo un anticoncezionale”… e
nella costruzione delle gag, restando in tema le cene al ristorante
con “la teoria del dolce”... sono spassose, (da segnalare anche i
riusciti camei di Tognazzi e Di Leo) ma anche quelle poggiate sul
cane di nome “Ti amo” strappano decisamente risate… (fino al Commissariato). Funziona perché c’è misura, perché ribadiamo, è
scritto come si deve ma anche girato e montato alla perfezione, come
ottima è in toto la recitazione, adeguata, conforme alla singola
parte.
- "Vorrei
50 sfumature di grigio
- Il parrucchiere è li all’angolo… Non è
che possiamo vendere qualunque cosa, nonno si rivolterebbe nella
tomba
- Difficile l’abbiamo cremato”
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