" - Oh salve. Ho sentito la tua musica e anche molte belle cose sul tuo conto da Jim, Jean e dagli altri"
"- Oh, non hai sentito nessuna cosa carina sul mio conto da Jean"
New York, Greenwich
Village, 1961. Llewyn Davis (Oscar Isaac) è un cantante e
chitarrista folk che, dopo la scomparsa del suo compagno artistico
Mike Timlin, prova a rilanciare, con scarsi risultati, la propria
carriera da solista. Inaffidabile, spiantato e costretto a chiedere
continua ospitalità ai propri amici, Llewyn trascina un’esistenza
poco convinta alla ricerca dell’occasione giusta che gli offra la
svolta per sfondare nel mondo della musica. Dopo uno iato produttivo
che non vedeva i fratelli Coen all’opera dietro la macchina da
presa dal remake “Il Grinta” del 2010 e, prima ancora,
dall’originale “A Serious Man” del 2009, i due fratelli
cineasti tornano giocando, stavolta, con uno spunto preesistente,
quello di una autobiografia firmata dal musicista folk newyorkese
Dave Van Ronk, dalla quale prendono riferimenti e spunti (lo stesso
titolo originale del film e la copertina dell’album solista di
Davis riprendono quelli dell’album “Inside Dave Van Ronk”) per
allontanarsi sulle orme della propria creatività e ricostruire una
celebrazione del revival folk che in quel quartiere prese vita
proprio agli inizi degli anni ’60 e che fece la fortuna di nomi
come quello di Bob Dylan (nella realtà, grande amico di Van Ronk) e
Joni Mitchell.
I Coen reinventano
una storia fatta di tiepida disperazione, che, lungi dalle
celebrazioni agiografiche del biopic o dalle altisonanti dietrologie
nelle quali è facile inciampare nella ricostruzioni politiche
d’epoca, vuole rendere tutto il tumulto interiore individuale che
si nutre delle incertezze e dei dubbi propri di un uomo alla ricerca
di un’impossibile realizzazione artistica e umana. I due fratelli
fanno ricorso ora al loro proverbiale humor nero (in verità, qua ben
più misurato e meno ridanciano che nelle loro precedenti pellicole)
ora alla rappresentazione, grottesca e scomoda al tempo stesso, delle
difficoltà comunicative tra il protagonista e i comprimari che
popolano il suo universo come figure aliene, portatrici di necessità
sociali nelle quali Davis non si ritrova, sempre fuori posto e alla
ricerca di una propria dimensione che non si accorda mai con gli
spazi e i tempi necessari, fatti di corsi e ricorsi ciclici
imperfetti che non portano mai a un punto di arrivo né a un nuovo
punto di partenza che non sia l’ennesimo divano, l’ennesimo
dialogo inconcludente a una scrivania o la sala polverosa e densa di
fumo di un club che non gli offre speranza alcuna oltre alla gloria
che dura il tempo di una canzone. Ancora una volta, i due fratelli
Coen giocano con la fiction e il verosimile per creare una storia
sentita, ma non rinunciano al vezzo di arricchirla con giochi mentali
e di scrittura, tempestando il film di nomi esistiti ma al limite
della credibilità che riformulano il reale o di personaggi surreali
che a loro volta sono echi di pellicole precedenti (esemplare, in tal
senso John Goodman nelle vesti di un intrattabile e infermo musicista
jazz che sembra l’emanazione decadente e dacaduta del suo Big Dan
Teague di “Fratello, dove sei?” o il riferimento a Ulisse, che
già era motivo portante nello stesso film o, ancora, l’omaggio al
nostro Pappi Corsicato, il cui nome viene dato al gestore di un club
senza troppi scrupoli); i due sceneggiatori-registi creano così
cortocircuiti di senso per farci riflettere sulla natura beffarda
della vita, che si prende gioco di tutti noi e delle nostre
aspirazioni.
L’ambientazione
d’epoca, però, non deve trarci in inganno e, anzi, a nostro avviso
può a pieno titolo essere considerata un’intelligente mossa per
sbarazzarsi degli inutili orpelli rappresentati dagli oggetti della
nostra sfera quotidiana, un sottotesto che ricrea una metafora che da
alla storia di Llewyn Davis una valenza universale e contemporanea,
perché, al netto dei dispositivi tecnologici che ci circondano e
dell’apparente quarto d’ora di notorietà che il mondo di
internet sembra garantire a ognuno, sono comunque la solitudine,
l’incomunicabilità e la disillusione a farla da padrone nella
nostra vita alla ricerca di una bellezza vera e impossibile. In tal
senso, a completare il senso estetico della pellicola, contribuisce
senz’altro la fotografia del francese Bruno Delbonnel, per la prima
volta impegnato in un lungometraggio diretto dai Coen, che dipinge
gli ambienti con pallidi colori pastello e soffoca i protagonisti
nella densità di un’aria sempre carica di foschia, fumo o
nevischio, tanto quanto l’interpretazione deliziosamente sotto le
righe di Oscar Isaac, in netto contrasto con i gigioneggianti
istrionismi dei protagonisti delle pellicole coeniane precedenti
(basti pensare, tanto per rimanere nel seminato del paragone che
abbiamo già fatto, all’Everett Ulysses McGill di George Clooney).
Un’attenzione speciale va alla bellissima colonna sonora, fatta di
brani folk tradizionali riarrangiati con la collaborazione del
musicista T-Bone Burnett ed eseguiti dal vivo dagli attori con
un’intensità che toglie il fiato a ogni sequenza musicale e fa
venire voglia di correre al più vicino negozio di dischi. Una
pellicola mirabile, completamente intrisa di una malinconia che getta
una luce quasi sofferente sulla prospettiva di un amore per la
propria umanità che, al tempo in cui viviamo, sembra destinato a
soccombere sotto il peso di un mondo crudele che noi stessi creiamo
col nostro egoismo.
Personaggi
interpreti e doppiatori
Llewyn Davis : Oscar
Isaac (Gabriele Sabatini)
Jean Berkey : Carey Mulligan (Domitilla D'Amico)
Jim Berkey: Justin Timberlake (Gabriele Lopez)
Roland Turner: John Goodman (Edoardo Siravo)
Bud Grossman: F. Murray Abraham (Ennio Coltorti)
Mitch Gorfein: Ethan Phillips (Alessandro Tiberi)
Jean Berkey : Carey Mulligan (Domitilla D'Amico)
Jim Berkey: Justin Timberlake (Gabriele Lopez)
Roland Turner: John Goodman (Edoardo Siravo)
Bud Grossman: F. Murray Abraham (Ennio Coltorti)
Mitch Gorfein: Ethan Phillips (Alessandro Tiberi)
- "Un cantante folk con un gatto?"
- "Non è il mio gatto, solo che non so cosa farne"
- "Davvero? Allora ti sei portato anche l'uccello!"
- "Davvero? Allora ti sei portato anche l'uccello!"
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