Le luci della centrale elettrica - Costellazioni


La canzone d’autore italiana è in ottime mani, non bastassero gli ultimi album di Dente, Brunori, Non voglio che Clara, Zen Circus... a confermarcelo ulteriormente ecco arrivare “Le luci della centrale elettrica” che con questo “Costellazioni" abbraccia per la prima volta (anche) la cultura pop, si lascia contaminare, eppure rimane felicemente inconfondibile. Vasco Brondi mischia Battiato, CCCP e anche un pò di De Gregori, nel suo stile solido e solito, metaforico e avvolgente, cercando uno spazio tra i luoghi e le storie narrate... non c’è scampo… intenso, toccante, a tratti persino commovente, le 15 canzoni che compongono “Costellazioni” sono la risposta più netta e decisa ai due dischi sostanzialmente identici dal punto di vista musicale, che l’avevano preceduto, risposta attesa e che avevamo già potuto constatare nell’ep di un paio d’anni fa “C’eravamo abbastanza amati”, con un uso dell’elettronica appropriato e intelligente così come degli strumenti, dove forse manca qualche momento barricadero in più… ma la maturità si vede anche in questo, non c’è bisogno di urlare o di chitarroni preposti a farlo… Un album ricco e suggestivo, curato ma non per questo meno vero, anzi… dove la penna del nostro, più narrativa rispetto al passato, raggiunge vette d'eccellenza...corroborato da Federico Dragogna dei Ministri, Vasco Brondi porta a un passo successivo “Le luci”, del resto “non c’è alternativa al futuro” (da Le ragazze stanno bene)

“La terra, l’Emilia, la luna”: con una citazione di Francesco Nuti “Madonna che silenzio che c’è stasera” si apre questo terzo atteso lavoro sulla lunga distanza di Vasco Brondi per proseguire nel ritornello con Franco Battiato: “io cerco un centro di gravità almeno momentanea”, tralasciando il titolo che può richiamare o meno i CSI di “La terra, la guerra, una questione privata”… per un mood sospeso, una cantilena trasognante, tra molteplici luoghi: “per tutti quelli che sono morti come sono vissuti felicemente al di sopra dei loro mezzi”

“Macbeth nella nebbia”: “non era per te aspettare la notte” avvolgente e intensa col ritornello che si libra evocativo e complice, poggiata su una ritmica sotterranea: “e ti accorgi che nel disastro il futuro era sempre lì a sorriderci” 

“Le ragazze stanno bene”: folk ballad con Vasco con interessanti aperture melodiche nella strofa: “guarda qui sono tutti i miei punti deboli guardami li lascio dietro degli spazi bianchi” e con uno dei ritornelli più epici dell’intero album: “e forse si trattava di dimenticare tutto come in un dopo guerra e di mettersi a ballare fuori dai bar come ha visto in certi  posti dell’ex jugoslavia forse si tratta di fabbricare quello che verrà con materiali fragili e preziosi senza sapere come si fa” 

“I destini generali”: il primo singolo estratto, suggestivo e solenne nel suo incedere marziale con un incipit delizioso:“luminosa natura morta con ragazza al computer poverissima patria arriva arriva la deriva economica”, assolutamente trascinante nel suo dipanarsi e l’uso incisivo dei cori: “è solo un momento di crisi di passaggio che io e il mondo stiamo passando… che io e il mondo stiamo superando”

“I Sonic Youth”: la provincia, l’andare via per cercarsi un futuro, con tutte le incongruenze del caso fa da sfondo a questa intima ballad al pianoforte: “Puoi rispiegarmi il perché delle maree, delle colline bucate per fare gallerie per farmi andare via, via per lavorare, via per migliorare i tempi via ma continuare a misurare la distanza dei pianeti da te”, per atmosfera e melodia può far venire in mente Prospettiva Nevskij del maestro Battiato: ”c’era un rumore in lontananza ma eri tu che ascoltavi gli Smiths e i Sonic Youth, c’era un rumore in lontananza, solo tu ascoltavi i Sonic Youth in quel paesino del sud”

“Firmamento”: “Va tutto bene ma solo se è irraggiungibile” botta punk in pieno stile CCCP: “E adesso vorrei che la pioggia non si fermasse mai”

“Un bar sulla via lattea”: ritmica pulsante sottotraccia con innesti di fisarmonica, archi e trombe sul finale a conferire un’aria gitana e vagabonda al brano: “eravamo 4 o 5 amici in un bar sulla via lattea o era la via Emilia e tu dormivi per terra”

“Ti vendi bene”: pop/dance/punk commistione ampiamente riuscita e godibile tra Battiato “bandiera rossa trionferà ma solo sulla costa del mare in tempesta qualcuno gridava la luna al popolo poi la sera fa il rumore di una saracinesca che si abbassa e Mozart a letto con la febbre alta” e i CCCP (viene in mente Tu menti vedi titolo), più ironici:“è una giornata fredda e luminosa, è una notte buia e meravigliosa l’importante è che succede qualcosa qualsiasi cosa”

“Una cosa spirituale”: fine di una storia per chitarra spagnoleggiante e melodia che fa il verso a Bamboleiro al punto che aspetti che da un momento all’altro parta “poroppopo” cosa che ovviamente non accade ed ecco invece un ritornello arioso e complice: “com’è difficile tenersi uniti apri la cronologia degli ultimi anni, chiama i tuoi santi specializzati in cuori in fiamme in macchine veloci in post punk inglese,  stavi tre giorni da tua madre, tre giorni da tuo padre e adesso che non lavori potrai dormire quanto ti pare” e c’è spazio anche per citare De Andrè “se ti tagliassero a pezzetti”

“Padre nostro dei satelliti”:”non c’è niente che mi interessi di meno delle opinioni degli altri”… “prega per la fine della mia gioventù forse resterà per l’eternità su youtube” sacro e profano amabilmente mischiati, una sorta di preghiera sui mezzi di comunicazione e sulla tecnologia, assolutamente geniale… ballad al pianoforte evocativa e suggestiva che non disdegna la melodia.

“Questo scontro tranquillo”: “dei nostri sogni assurdi che si sono avverati” il Vasco Brondi che non ti aspetti, spensierato, estivo, decisamente pop, “in questo scontro tranquillo” che musicalmente accomuna per incanto Bennato e Carboni, sulla tratta delle “affinità e divergenze” Milano/Roma:“ci sarò io arriverò, felice da fare schifo e libererò tutti i tuoi pianti trattenuti” 

“Punk sentimentale”: “l’amore si muove secondo un meccanismo simile a quello del mare, strana questa che respiriamo e poi smettiamo di respirare” ballad cantilenante con chitarra e archi, diradata: “strane vite moderne con risorse limitate, voglie sconfinate necessità infinite, strane ancora a casa mia le cose tue, sapessi com’è strano sentirsi innamorati a Milano due”

“Blues del delta del Po”: “ha capito che tutto andava bene che poteva partire ha capito che tutto andava male e poteva partire” fa venire in mente il De Gregori di Renoir o di Titanic sia nell’impianto musicale, leggero e colorato sia nel bozzetto narrato: “lunedì qualcuno ancora porta in paese i giornali qualcuno ancora l’eroina c’è lei che quando ha avuto una bambina era anche lei una bambina”

“Una guerra lampo”: quasi l’ideale proseguimento del brano precedente sia dal punto di vista musicale che testuale: “di questa epoca non resteranno neanche delle belle rovine”… “anche se fecero un deserto e lo chiamarono pace”

“40 km”: ballad eterea eppure scarna, minimal e preziosa, “come due zingari che stavano aggrappati alla notte” ma anche il Battiato che recupera gli evergreen… “e brillano le insegne che hanno perso delle lettere che cos’è la giovinezza in fondo  cosa doveva essere oltre a questa tremenda corsa in ciao sotto la pioggia al vento verso casa di qualcuno e brillano le finestre  gli alberghi senza stelle che cos’è che tiene insieme il sistema solare tutte ste famiglie, qui dove anche le rondini si fermano il meno possibile qui dove tutto mi sembra indimenticabile” conclusione migliore non poteva esserci.

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