Snowpiercer di Bong Joon-ho



“Io appartengo alla testa, voi appartenete alla coda. Rimanete al vostro posto.”


2031. Diciassette anni dopo un esperimento disperato atto a fronteggiare il riscaldamento globale del pianeta, la Terra è piombata in un’altra era glaciale e l’unica umanità superstite è quella delle poche migliaia di individui che viaggiano su un treno speciale, creato dal fantomatico signor Wilford (Ed Harris), che viaggia in moto perpetuo attorno al mondo seguendo un giro annuale, al pari di una nuova arca di Noè meccanica e senza speranza.

Organizzato come una specie di ecosistema chiuso, il treno vede anche una rigida distinzione tra i suoi abitanti/passeggeri, divisi in classi, con pochi ricchi che conducono una vita di agi nelle carrozze di testa e numerosi “paria” stipati nelle carrozze di coda, in condizioni precarie, nutriti con disgustosi blocchi gelatinosi di proteine agglomerate e tenuti a bada sotto la minaccia delle armi e della violenza.
Curtis (Chris Evans) è salito sul treno quando aveva solo diciassette anni e non sopporta più le condizioni nelle quali lui e gli altri passeggeri della coda sono costretti a vivere, così, ispirato dalle parole e dalla saggezza dell’anziano Gilliam (John Hurt), sta preparando una rivolta per risalire fino alla testa del treno e regolare finalmente i conti con l’odiato Wilford, l’impresa, però, è ardua e tutti i precedenti moti di rivolta sono sempre stati soffocati in una terribile carneficina.
Regista di talento, apprezzato per le sue pellicole di genere horror e thriller, il coreano Bong Joon-ho si è imbattuto, intorno al 2004, nel fumetto francese degli anni ’80 “Le Transperceneige” di Jacques Lob e Benjamin Legrand ed è rimasto talmente folgorato dall’idea da impegnarsi nella ricerca di un produttore per realizzare la pellicola, ricerca che è giunta al suo compimento solo quando il progetto ha destato l’interesse del regista produttore Park Chan-wook, suo connazionale e amico.
Intenzionato a dare una valenza globale e multietnica della storia, Bong decide di mettere in piedi una coproduzione internazionale, ingaggiando un cast di attori asiatici, europei e statunitensi (di un certo peso).
Lo sguardo “fresco” di un regista asiatico, unita alle possibilità di un budget stimato intorno ai 39 milioni di dollari fanno di questo blockbuster di fantascienza distopica un esempio di come si possa dare nuova luce a un genere che troppo spesso, a Hollywood, mette le tematiche al servizio dello spettacolo e non viceversa.
La matrice fumettistica transalpina emerge con potenza dallo sviluppo della storia, che si fa metafora dolente della triste visione hobbesiana che vuole l’homo homini lupus e trasla la visione piramidale della scala sociale sulla dimensione orizzontale del convoglio, con le carrozze di coda sovrappopolate e gli spazi della locomotiva occupati da un solo individuo, leader salvatore e, allo stesso tempo, spietato dittatore, ma anche le ambientazioni non sono da meno, grazie a una minuziosa cura delle scenografie e a una regia che gioca agevolmente con l’angustia degli spazi (supportata da una fotografia e un montaggio molto efficaci) e da un ritmo della narrazione che procede per fasi e toni, così come i rivoltosi che risalgono lungo il treno e scoprono le varie realtà compresenti sulla vettura.
Anche il lavoro del cast gioca la sua parte e alterna il rigido eroismo del protagonista Chris Evans con i più studiati e intelligenti personaggi secondari. Su tutti, Tilda Swinton, nei panni di una folle istrionica portavoce animata da una mistica dell’ordine sociale (a parere nostro, quella che ha maggiormente colto e sviluppato lo spirito del soggetto), John Hurt vecchio saggio e rassegnato, Ed Harris, cinico dittatore-conducente con una terrificante lucidità, il sornione e allucinato Song Kang-ho (tecnico tossicomane il cui aiuto è necessario per sbloccare le porte dei diversi settori del treno) e, non ultimi, Jamie Bell (che fu protagonista di “Billy Elliot”) e Ewen Bremner (lo Spud di “Trainspotting”) che, con la loro fisicità e interpretazione, riescono a rendere vivi i loro personaggi nonostante la mancanza di spessore in scrittura.
Sia chiaro, non stiamo parlando di una pellicola perfetta, ma di un blockbuster che segue le regole del genere con un’energia nuova e che auspichiamo influenzi la qualità delle prossime produzioni e le spinga alla ricerca di moduli narrativi meno scontati. Qui la narrazione e lo sviluppo procedono spediti e diretti, ma non disdegnano i momenti di pausa, talvolta stranianti, quasi come fermate e stazioni che il treno con i suoi passeggeri non vedranno mai. In questo senso potremmo vedere come una pecca minore (purché si adotti una lettura allegorica del film) il finale un po’ retorico e le diverse forzature che costellano l’intera sceneggiatura andando spesso a intaccare la sospensione dell’incredulità necessaria a guardarlo.
Azione, dramma, distopia: queste le parole chiave che possono rendere il film interessante o meno agli occhi del possibile spettatore.


“Il treno è il mondo. Noi siamo i sopravvissuti. Senza di te l’umanità cesserà di esistere.”



Personaggi, interpreti e doppiatori

Curtis: Chris Evans (Alessio Cigliano)
Edgar: Jamie Bell (Davide Perino)
Gilliam: John Hurt (Giorgio Lopez)
Mason: Tilda Swinton (Franca D'Amato)
Tanya: Octavia Spencer (Francesca Guadagno)
Namgoong Minsu: Song Kang-ho
Wilford: Ed Harris (Luca Biagini)
Yona: Go Ah-sung (Letizia Scifoni)
Andrew: Ewen Bremner (Edoardo Nevola)
Insegnante: Alison Pill (Roberta De Roberto)

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