Gigolò per caso di John Turturro



"Hai mai fatto un menage a trois? - Si, ma nel 1970, durante il black out"

Una sinossi sin troppo esile fa da sfondo a riflessioni più ampie sulla solitudine umana e sull'ortodossia ebraica, si potrebbe riassumere così "Gigolò per caso", quinta regia di John Turturro, che veste anche i panni di Fioravante, fascinoso e di poche parole fioraio spinto al mestiere più antico del mondo da Murray, Woody Allen, libraio in crisi, del resto "sono rare le persone che comprano libri rari" che si improvvisa "pappa". Il gancio narrativo, sviscerato sin dal prima sequenza che sembra  voler imporre un certo ritmo filmico, scorrevole e divertente si rivela ben presto un mero pretesto e nel suo voler aspirare ad altro il film si inceppa inevitabilmente. Procede a stento tra le arrovellazioni di Allen e la "coscienza" di Turturro senza arrivare a toccare fino in fondo il cuore dello spettatore, facendo venire a galla l'inverosimiglianza della vicenda. Restano le buone intenzioni, il garbo narrativo, la New York splendidamente fotografata da Marco Pontecorvo, l'ottima e raffinata colonna sonora di Abraham Laboriel e Bill Maxwell, le interpretazioni magistrali di Turturro, Sharon Stone, Vanessa Paradis (sua è l'interpretazione del brano "Tu si na cosa grande"), Sofia Vergara, il ritratto della famiglia di Allen... Quello che manca  alla fine è fondamentalmente il giusto mix tra i toni da commedia e lo spessore filmico, il senso profondo della storia, che fa rimanere la pellicola a un livello superficiale non affondando il colpo in nessuna direzione.   

  
“Ti sei mai chiesto che succede nella testa di una donna?” - “Non sarei qui se l’avessi fatto”.

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