Sono
passati vent'anni dalla morte di Kurt Cobain, leader dei Nirvana,
padre del grunge, angelo maledetto. Esattamente il 5 aprile del 1994,
il tempo si ferma nella villa al numero civico 171 di Lake Washington
Boulevard East, Seattle. Ma per capire meglio gli ultimi giorni di
vita di Cobain bisogna fare qualche passo indietro. * Al 25 marzo
precedente, per l'esattezza. Dopo il tentativo di suicidio dei primi
di marzo a Roma, la dipendenza dall'eroina ormai è drammatica, Kurt
è sempre più nervoso e pare che avesse confidato ad un'amica che
non sarebbe morto di overdose ma “mi sparerò in testa”. Quel
giorno, il 25, la moglie di Kurt, Courtney Love ed il manager dei
Nirvana, Danny Goldberg si riuniscono nella casa al civico 171 per
obbligare Cobain ad entrare all'Exodus di Marina del Rey per
disintossicarsi. Ne avrebbe approfittato anche Courtney. E così
fece. Il 30 marzo Kurt si trova ricoverato in clinica, ci rimane
molto poco, solo due giorni per poi fuggire il 1° aprile e non è
uno scherzo. Prende il primo volo della Delta Airlines per Seattle e
non dà più notizie di se per giorni.
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Casa Cobain al 171 di Lake Washington Boulevard |
Il
giorno successivo, un investigatore privato, Tom Grant, si mette
sulle sue tracce, dopo essere stato ingaggiato dalla leader delle
Hole. Quella mattina del 2 aprile, nessuno pensa di cercare Kurt
nella sua casa? Era lì, sta telefonando alla sua amica Jessica
Hopper che lo prega di chiamare sua moglie che è preoccupata. Lui lo
fa, chiama il centralino che anziché passargli Courtney lo liquida
come se fosse uno stalker. Kurt prende un taxi, compra delle
munizioni e si apparta in una stanza di un motel. Ci resta però per
breve tempo. Le sue intenzioni sono altre. Ed infatti, quando
Courtney telefona a Dylan Carlson, amico eroinomane di Kurt, questi
gli conferma che qualche giorno prima avevano comprato un fucile
insieme. Allora Courtney spaventata chiama la polizia, si spaccia per
la madre di suo marito dicendo che “il figlio potrebbe avere un
istinto suicida”. Manda anche all'avanscoperta – tra il 4 ed il 5
aprile – alcuni amici comuni nella casa vicino al lago ma non
trovarono nessuno. Eppure...
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Le recenti foto diffuse dalla Polizia del luogo dell'omicidio |
Così
fa anche l'investigatore Grant due giorni dopo ma niente. Nessuno
però pensa di guardare nel garage e nella serra al piano di sopra.
Anche altre due amiche di Kurt cercano in casa ed una di loro, Bonnie
Dillard, sostiene di aver visto anche un'ombra nel garage. Forse una
suggestione. Venerdì 8 aprile, alle 8.40 del mattino, un
elettricista, Gary Smith, entra in quella lussuosa casa. Doveva
verificare l'allarme. Da una finestra della dependance, l'uomo vede
per terra il corpo di un ragazzo dal volto sfigurato che imbraccia un
fucile Remington M-11 calibro 20. Al suo fianco una scatola di sigari
con delle siringhe e tutto l'occorrente, più un pacco di tabacco, un
accendino, un paio di occhiali, un cappello, un portafoglio, 120
dollari, due asciugamani e poco altro. Foto peraltro (in alto) che
recentemente sono state diffuse dalla Polizia di Seattle. Un segnale
per una probabile riapertura del caso? A quanto pare no. Ma c'è
anche una lettera vicino a Kurt Cobain dei Nirvana. Un addio per la
piccola Frances Bean, sua figlia, di soli 2 anni, un pensiero a Dio
perchè ha cercato ma non ce l'ha fatta. “Meglio bruciare in fretta
che spegnersi lentamente”, citando una canzone di Neil Young, che
al contrario vive tuttora e che gli ha dedicato anche l'album “Sleeps
with Angels”. “Pace, amore, empatia, Kurt Cobain”. La lettera
inoltre, è indirizzata a Boddah, l'amico immaginario che ha
accompagnato Kurt per tutta la sua breve e giovane vita e contiene
anche una citazione ad una grande voce morta prima di lui: Freddie
Mercury. Spesso l'ex Nirvana scriveva così il suo nome: Kurt-d
Cobaine.
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L'ultima lettera lasciata da Cobain |
La
notizia si diffonde presto tramite la stazione radio KXRX.
All'ascolto c'era Kim Cobain la sorella di Kurt che chiama subito la
madre Wendy Elizabeth Fradenberg che in lacrime dice: “Lo sapevo...
lo avevo pregato di non farlo... ma purtroppo anche lui si è dovuto
scrivere al club degli stupidi”. Il club di cui parla è quello dei
27th... che annovera Brian Jones, Jim Morrison, Jimi
Hendrix, Janis Joplin ed ora anche lui. Qualche anno fa, Emy
Winehouse. Tutti morti a 27 anni. Il legale di casa Cobain avverte
Courtney che si trova in una clinica di Los Angeles per
disintossicarsi. Nel frattempo diffusasi la notizia, i fan si portano
sulla casa di Lake per lasciare un fiore, un messaggio, una lacrima
per il loro idolo. Un fotografo del “Seattle Times”, Tom Rees,
riuscì ad immortalare una parte del corpo di Cobain per terra, una
foto che ha fatto silenziosamente storia. Al Seattle Center viene
allestita la camera ardente davanti a settemila persone ed i funerali
si svolgono presso la Unity Church of Truth dinnanzi a sole 70
persone in forma privata e a suon di “In my life” di John Lennon.
Dopo Courtney si reca dai fan e legge alcuni passi della lettera
d'addio del marito. Kurt
viene cremato e le sue ceneri vengono così depositate: un terzo
presso un tempio buddista di Ithaca, New York (si era da poco
convertito), un terzo viene sparso nel fiume Wishkah; un'altra parte,
gettata di fronte la casa al 171 e a McLane Creek, Olympia, davanti
la casa in cui vivevano la madre e la sorella di Kurt; il resto
rimane alla Love. Secondo quanto la stessa ha riferito qualche anno
fa al tabloid “News of the World”, la borsa rosa a forma di
orsacchiotto in cui aveva conservato i resti del marito è stata
trafugata da ladri che si sono introdotti nel suo appartamento.
Quanto sia attendibile la signora Cobain non lo sappiamo. L'autopsia
ha svelato che il corpo di Kurt giaceva nella serra di casa da almeno
3 giorni. Questo quello che hanno visto gli altri.
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La foto del corpo scattata dal fotografo Tom Rees |
Quello
che hanno visto gli occhi di Kurt è drammatico, vero, tragico.
Quando arriva in casa con il suo fucile, il leader dei Nirvana compie
pochi meccanici gesti. Innanzitutto nella più totale disperazione e
nello sconforto più nero – oltre al fatto che Kurt soffriva di una
specie di ulcera e di forti mal di pancia che lo hanno portato spesso
all'autodistruzione dovuti ad una vertebra che sfregava su un nervo –
prima di andare di sopra, mette su una delle sue canzoni preferite:
“Automathic for the people” dei Rem e del suo mentore Michael
Stipe. Si perchè Kurt adorava Stipe e qualche tempo prima gli aveva
scritto una disperata lettera dove chiedeva aiuto al suo “maestro”.
Come racconterà Stipe, se lo avesse ascoltato e avesse colto il suo
messaggio di dolore, forse, chissà, Cobain sarebbe ancora vivo.
Stipe omaggia successivamente Cobain con il brano “Let Me In” nel
disco “Monster”. Forse Kurt amava l'indipendenza dei Rem, cosa
che lui non poteva avere, strozzato com'era dallo show business. Ma
torniamo a Kurt da solo nella sua grande e costosa villa. Scrive una
lettera, l'ultima (a Kurt piaceva molto scrivere di getto). Il passo
successivo è stato quello di prendere aghi e laccio emostatico per
spararsi una dose di eroina tre volte superiore alla dose letale. Lo
conferma l'autopsia. Strano come abbia avuto il tempo di compiere il
passo successivo. Lo aveva promesso. Non sarebbe morto per l'eroina,
ma con un colpo di fucile. Giunge nella serra e con la droga potente
in corpo, con gli occhi annebbiati, si porta la canna in bocca ed
esplode un colpo letale. Interessante e macabro è il libro “Cobain”
di Charles R. Cross che racconta gli ultimi anni di vita dell'ultimo
eroe del rock. Così come un'analisi dettagliata su chi era Kurt è
fornita dal libro “Cobain. Più pesante del cielo” sempre di
Cross.
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Kurt Cobain con la figlia Frances Bean |
Quando
Courtney arriva sul luogo, con tutta la sua follia alla vista del
marito, si porta sul suo corpo per compiere un gesto alquanto
terrificante: la donna raccoglie parti di capelli e quindi di cranio
di Cobain come a volerli conservare con addosso la sua giacca di
velluto piena di sangue, gridando: “Perchè?”. Ed è proprio
dalla leader delle Hole che partono, dopo la morte di Kurt, alcune
voci sul fatto che potesse non trattarsi di suicidio. Le analizziamo:
secondo Max Wallace e Ian Halperin che scrissero un libro e
realizzarono un docu-film in merito (Kurt and Courtney),
l'investigatore Tom Grant continua ad autofinanziarsi per scoprire
più cose possibili. La Polizia archivia tutto molto presto con un
“suicidio”. Non approfondirono. Altro punto: l'eroina che Kurt si
inietta secondo alcuni lo avrebbe dovuto uccidere con un'overdose
all'istante. Ricordiamo quanto successe a River Phoniex che non ebbe
neanche il tempo di chiedere aiuto. Inoltre sembra che non ci fossero
impronte di Kurt né nel fucile né nella lettera che scrisse.
Secondo un esperto di grafologia, la lettera potrebbe essere scritta
da due mani diverse. Ma anche qui la disperazione spesso ci fa dire e
scrivere cose impensabili. Altra cosa, pare che qualcuno avrebbe
tentato di usare le carte di credito di Cobain dopo la sua morte. E
perchè c'erano tre cartucce nel fucile e non una? Voleva essere
sicuro che sparassero? Perchè la cremazione improvvisa?. Allora si
parla di complotto. Un rocker di Los Angeles, Eldon Doke detto El
Duce, dichiara di aver ricevuto 50mila dollari ed una prestazione
sessuale da Courtney in cambio dell'uccisione del marito. Ma El Duce
muore misteriosamente in un incidente, pare investito da un treno. Il
16 giugno dello stesso anno, muore anche la bassista delle Hole,
Kristen Pfaff, molto amica di Kurt. E' stata trovata morta nel suo
bagno dopo una dose di eroina. Noi non crediamo a queste cose,
crediamo solo ad un uomo triste, ad una delle più geniali rockstar
che ci ha regalato il mondo della musica, crediamo alla sua arte,
alla sua voce graffiante ed infelice, tanto infelice che neanche sua
figlia, riuscì ad alleviare.
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Frances Bean Cobain oggi |
Oggi
Frances Bean ha 21 anni ed è uguale al padre, una fotocopia.
Un'artista visiva, una fotografa, meno tormentata ma con lo sguardo
di chi ha perso un padre ed ha la consapevolezza che lui ha cambiato
il corso della musica. Ma anche una madre troppo ingombrante con il
quale non ha oggi buonissimi rapporti, definendola “la mia madre
biologica, la cui recente invettiva ha preso una piega disgustosa”.
La ragazza si riferisce al fatto che due anni fa la madre accusò
(per l'ennesima volta) Dave Grohl, ex componente dei Nirvana assieme
al marito, di essere l'amante della figlia. Niente di più falso. C'è
solo affetto tra i due. Frances, almeno fino a poco tempo fa, aveva
una relazione con Isaiah Silva, leader dei “The Rambles”... anche
lui un sosia di Kurt. I diari di Kurt sono importanti. Piene di
lettere (alcune non spedite), pieni di testi, di disegni (era
veramente bravo), di invenzioni. Per lui la musica era matematica e
costruiva sui fogli il manico della chitarra dove sperimentava sui
power chords; Kurt fu il primo a suonare riff e veri e propri giri
melodici sui power chords che generalmente erano più “hard”. Da
questo punto di vista è interessante leggere “Diari – Kurt
Cobain” (Mondadori); una pecca però il libro ce l'ha: le
pubblicazioni sono state scelte da Courtney Love che ha fatto
un'accurata cernita: questo va bene, questo non va bene. Bloccando
ogni iniziativa dei compagni di viaggio di Kurt (ricordiamo anche la
battaglia per i diritti dei brani). Lui, assieme ai Nirvana, hanno
scritto un percorso che fa ancora storia tra le nuove generazioni.
Dei Nirvana faceva parte anche Krist Novoselic: i tre formavano la
band ufficiale.
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L'album Incesticide pubblicato in Germania GED24504
(promo edizione limitata 500 copie)
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I Nirvana |
Da
lì sappiamo come è andata. Una storia fatta, come tutte le storie,
di miti, di malinconia, di tristezza, di rabbia, la stessa che Cobain
portava sul palco, con la sua voce tagliente come “Aneurysm”.
Cobain è stato ispirato, fortemente (lui parlava di “Reversione”)
ed ha ispirato. Ha ispirato film, dischi, libri, band, intere
generazioni. Oggi anche chi non l'ha conosciuto lo ama e lo piange.
Come tutti noi. L'ultimo eroe maledetto, l'ultima rockstar. Cobain
non voleva essere una bandiera, non voleva essere il simbolo della
generazione nel difficile passaggio dagli '80 ai '90, semplicemente
perchè non stava bene con sé stesso ed era un peso che non poteva
sopportare. Non lo ha sopportato. Con lui - e qualche mese prima con
River Phoniex – è terminata definitivamente un'era, quella
raccontata da Gus Van Sant, quella dei “belli e dannati”. La sua
vita, la sua storia, le sue opere, anche se non molte, sono
diventate, oltre che oggetto di studio, anche e soprattutto leggenda,
che lui lo voglia o meno. E chissà, magari in cielo c'è ancora un
angelo dagli occhi blu ed una chitarra abbassata di un tono...
*
Fonte “Delitti rock” di Enzo Guaitamacchi (Arcana)
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