Intervista e resoconto live degli Area - Marsala Jazz Estate (2 agosto 2014)


Il "Marsala Jazz Estate", la rassegna di musica d'autore che ha riportato il grande jazz in una città che ne aveva fatto la sua bandiera negli anni '90, ha chiuso la quattro giorni di concerti con un grande gruppo che ha fatto la storia della musica italiana: gli Area. Arriva al Complesso San Pietro in gran forma, il gruppo di Ares Tavolazzi, Patrizio Fariselli, Paolo Tofani (giunto con un saio in pieno stile zen) e Walter Paoli, saliti sul palco per stupire, ancora una volta, e per affermare che ad oggi, dopo 40 anni, sono i migliori, nessuno dopo di loro, neanche gli Afterhours (a cui si ispirano e che li hanno interpretati in "Lavorare con lentezza"), forse gli Elio e Storie Tese in bravura ma in chiave ironica. Ad oggi quindi, come loro, nessuno. Nessuno può ritenersi un innovatore come gli Area che riescono ad unire una miscela di suoni e musiche diverse. Catalogarli nel jazz sperimentale è troppo riduttivo perchè innanzitutto a diffondere inquietudine nei loro lavori ci pensa Tofani ed il suo strano strumento. Per chi non è abituato a certi suoni dissonanti, un nuovo noise per noi ancora del tutto da coniare, avrà fatto un balzo indietro nella sedia. Si chiama Trikanta Veena lo strumento di Tofani nato dopo anni di ricerca. Il chitarrista andò fino a Calcutta a ricercare certi suoni, creati con tre manici di cui uno ha ben 13 corde. Quello che viene fuori è un suono elettrico potente, tra la chitarra elettrica e l'arpa. Indescrivibile e futuristicamente arcaico. Un ossimoro. Divertente nel corso del concerto, l'ironia di Fariselli: "Adesso vi facciamo un medley di tutti i brani più famosi del nostro repertorio"... e Tofani parte con suoni assordanti e confusionari: beh, questo era il meglio del meglio. 



Ma a parte gli scherzi, gli Area non hanno dimenticato gli inizi progressive ed hanno avuto il coraggio di rinnovarlo, reinventarlo: Tofani con la Trikanta, Tavolazzi con il suo basso ed il suo trascinante sound che da la melodia di base, Paoli a voler dare il suo apporto nelle improvvisazioni puntuali a suon di "spazzole" come a voler non fare rimpiangere Capiozzo (e c'è riuscito), Fariselli con le sue dita affusolate tra le note e gli assoli sul pianoforte e sul synth donando quel sapore rock anni '70 ma proiettato all'inventiva... Fariselli si è dimostrato in sostanza, di essere il più grande pianista italiano contemporaneo. Non se la prendano a male i colleghi. Perchè non devi suonare musica classica per essere un bravo pianista. Non sono mancati le favole strampalate di mele viaggianti di Tofani, i racconti di quando andò a trovare il compositore John Cage a casa sua (col Mac ne ha fatto ascoltare la voce), il fusion, gli intervalli de "L'Internazionale"... ed un ricordo per il loro sfortunato amico Demetrio Stratos: uno struggente e commovente brano chiamato proprio "Estratios" dal velo noise. Demetrio avrebbe apprezzato. Ma emozionante è stato il racconto di Fariselli: "Adesso voglio ricordare la guerra in Palestina. Negli anni '70 scrivemmo una canzone per queste terre che ancora è attuale, ciò vuol dire che la guerra non è mai finita. Un giorno vidi in tv un uomo, un palestinese, che camminava con una chiave. Era la chiave della sua casa che non c'era più, l'avevano abbattuta. Ma lui camminava con la chiave perchè un giorno poteva dire a suo figlio che quella era la loro casa, che loro una casa l'avevano... Allora ognuno di voi qui presente prenda le proprie chiavi di casa e le faccia tintinnare"... tra gli scampanellii delle nostre chiavi parte la musica, ed è storia, è eterno, è universo.


Ecco la nostra intervista a Patrizio Fariselli, incontrato nell'ex monastero di San Pietro: 


Mentre ancora gli italiani ballavano nelle balere, negli anni ’70 voi siete stati degli innovatori del rock progressive, della musica etnica, della fusion, dell’avanguardia. Perché avete scelto di non catalogarvi musicalmente? 


E’ dovuto principalmente a due motivi: innanzitutto la volontà di non avere catalogazioni in qualcosa di prevedibile e secondo per via delle personalità importanti che hanno apportato al gruppo un patrimonio culturale e musicale differente l’uno dall’altro. Ciò per noi, per il nostro percorso, è stato molto importante. 

Area

In un’intervista di qualche tempo fa, avete affermato che vi siete tirati indietro dal mondo dello spettacolo e della televisione soprattutto perché una certa politica vi ha escluso. Nel vostro cammino fino ad oggi quanto ha pesato? 

E’ una domanda in realtà che può avere diverse interpretazioni. Noi siamo sempre stati sensibili alle tematiche sociali sin dalla fondazione del gruppo, negli anni ’70. Già allora ci schierammo pubblicamente dalla parte del Movimento, un’entità complessa per cui noi ci siamo stati fisicamente per la riconquista degli spazi liberati, più della mente che di altro. I nostri testi erano un invito alla consapevolezza, a non farsi infinocchiare, diciamo. Tutto questo a 40 anni di distanza è rimasto ed ha pesato. Oggi la qualità del nostro modo di suonare è per forza politico perché fa sapere a chi ascolta che non bisogna omologarsi, soprattutto ci rivolgiamo ai giovani. Peraltro noi lavoriamo senza fini commerciali e questa è sicuramente politico. 



Continuando questo discorso, vi siete anche accostati ad una cultura orientale grazie anche all’apporto di Tofani… forse è un modo per fuggire ad una certa cultura occidentale che ha fallito? 


Non distinguiamo le due culture così nettamente. Abbiamo maturato una curiosità insaziabile per cui per noi la musica è un linguaggio universale, la musica accompagna qualsiasi evento sociale dalla Lapponia in giù, tutti usano la musica. La musica è un prodotto con forme radicali e ci affascina continuamente. 



“Vorrei suonare come gli Area, il gruppo italiano, ma i pezzi sono difficili”. Così canta Elio e le Storie tese nel brano “Come gli Area” dell’ultimo disco. Ed infatti siete tornati in tv dopo anni ne “Il Musichione” su Rai 3, programma degli Elii. Li avete influenzati, così come avete ispirato gruppi come gli Afterhours. Come vi rapportate alle nuove generazioni di musicisti. C’è qualcosa che trovate interessante nel panorama italiano? 

Li abbiamo influenzati… beh, spero che influenziamo tuttora i giovani. I musicisti italiani di oggi sono molto elevati ma credo che mancano purtroppo i progetti concreti. Oggi è più complesso far veicolare il proprio lavoro. In Internet c’è di tutto e di più, è un rumore assordante, un contenitore di cose per cui se non ti sai distinguere non riesci ad emergere. Solitamente sono abbastanza pessimista in merito, ma poi non così tanto, dai. 


Ares Tavolazzi

Al “Marsala Jazz Estate” ed in generale nei vostri concerti, cosa proponete al pubblico. 


Nei nostri concerti così come a Marsala proponiamo in genere una rilettura storica del nostro repertorio, il tutto molto giocato, ovviamente senza la voce di un cantante, dove c’è ampio spazio per l’improvvisazione per cui ogni nostro concerto risulta alla fine diverso dall’altro, ogni brano risulta diverso ogni volta dall’altro e in tal modo chi viene ad ascoltare questi nonnetti (ride, n.d.r.) può sentire suoni sempre diversi. 


Il concerto all’Arena Civica di Milano del 14 giugno 1979, che doveva essere una raccolta fondi per aiutare Demetrio Stratos nelle cure per la sua brutta malattia è un pezzo di storia che non scorderemo mai anche se non eravamo lì. Leggere di quegli attimi, di un momento di speranza che si è trasformato in un concerto alla memoria è una delle pagine più tristi della musica italiana ma anche più sentite. Avete subito importanti perdite lungo il vostro cammino. Un ricordo suo personale, per noi, dei suoi compagni di viaggio che non ci sono più. 

Guarda, vi posso dire che la sfortuna negli anni si è abbattuta contro il nostro gruppo, è stata davvero un’ecatombe. Non abbiamo perso solo la nostra voce, Demetrio, ma anche l’anima ritmica degli anni ’70, non solo degli Area, ovvero Giulio (Capitozzo, n.d.r.). Ma anche i nostri sassofonisti Larry Nocella e Massimo Urbani, il nostro paroliere e produttore Gianni Sassi. Li porteremo sempre con noi, erano nostri amici.

Commenti

Translate