Fratelli Unici di Alessio Maria Federici


"Questo è amore? - No questo è reflusso gastrico"
Un inizio scoppiettante, carico di verve e ritmo, che strizza l'occhio con leggerezza al politicamente scorretto e che si protrae per metà film reggendosi sull'intesa della coppia Bova/Argentero, che lascia il posto, come purtroppo si poteva prevedere, a un'insulsa commedia romantica che finisce persino con lo scadere nel ridicolo involontario. "Fratelli Unici" di Alessio Maria Federici, è un film dunque a due facce/parti, dove a prevalere è sicuramente la prima, che può ricordare "I Gemelli", con l'improbabile coppia De Vito/Schwarzenegger, dove il primo insegnava al secondo le regole di come stare al mondo e di come comportarsi in particolare con le donne. Lo spunto narrativo o quanto meno le conseguenze sono pressocché identiche, quando in seguito a un incidente il fratello più responsabile, cinico e "demente" interpretato da Bova, diventa come un bambino e a prendere la sua custodia per motivi di vile denaro sarà un Argentero arrafffone e sciupafemmine, mentre l'ex moglie del "tornato bambino", Carolina Crescentini è in procinto di sposarsi nuovamente con Sergio Assisi... e la sua "passione per le pecorelle". A far da contorno e a far facilmente prevedere lo sviluppo narrativo, la figlia dei due e una ex fiamma e vicina di casa di Argentero, la magnetica Miriam Leone ("- E poi... e poi insegni yoga... e quindi hai pure un gran bel culo"). Divertente, ricco di gag, specialmente linguistiche (i grandi perché del Bova bambino), seppur di puro stampo televisivo... "Fratelli Unici" prende, come accennavamo all'inizio, una spiacevole e fuori luogo deriva zuccherosa, natalizia, verso il più trito e ritrito degli happy end, a cui procede spedita, come incurante, in maniera goffa, piatta e confusionaria, finendo per fare finanche il verso in determinati frangenti a "Lui è peggio di me" pellicola anni '80 con mattatori Celentano e Pozzetto, addirittura due sequenze (quella del finto incidente e il finale da "autista") sono prese di peso e trasportate ai giorni nostri. Peccato, perché per quarantacinque minuti, pur con tutti i difetti del caso, si è riso e volentieri, ma il cercare di tenere il piede in due scarpe non ha giovato assolutamente al film, che finisce così col non sviluppare adeguatamente nessuna direzione. 
"Il piccolo l'attacchi al grande e se li attacchi bene, restano uniti"

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