The Imitation Game di Morten Tyldum



"Sai perché agli uomini piace la violenza?"
"Perché è appagante"


Decifrare l'animo umano non è impossibile ma ci vuole predisposizione a non assomigliare a una macchina da una parte e massima empatia dall'altra, trovare "le parole chiave", saper toccare "I tasti giusti", fino a creare "un vero e proprio codice" sono il segreto di una comunicazione reale e proficua tra due o più persone, in quanto può avvenire uno scambio. Può essere descritto in queste parole il primo grande messaggio o lezione di vita che dir si voglia di "The Imitation Game" di Morten Tyldum, il secondo è forse ancor più importante, è che "la diversità salverà il mondo" che "la normalità" intesa nel senso di  conformazione a un dato sistema di massa uccide, seppur lentamente, ma uccide e che il potere dell'immaginare di andar oltre i propri stessi limiti, è una conquista, per se stessi e per gli altri. Tralasciando per un attimo gli insegnamenti edificanti della pellicola, "The Imitation Game" racconta la storia vera di Alan Turing, interpretato magistralmente da Benedict Cumberbatch, matematico britannico, esperto di crittografia che riuscirà a risolvere "l'enigma" delle comunicazioni tedesche durante la seconda guerra mondiale portando un grande contributo alla fine delle avversità. Detto questo, la pellicola si regge interamente sulle tesi enunciate poc'anzi, "Fra persone che nessuno immagina che possano fare certe cose,  che poi sono quelle che fanno cose che nessuno può immaginare" in una narrazione che alterna felicemente passato, inteso come l'infanzia del protagonista, quello che può considerarsi  nella pellicola il presente, ovvero la rincorsa alla costruzione di "Christopher", la macchina indispensabile per decifrare i messaggi nazisti, che porta il nome del suo compagno di collegio e primo amore e quello in fieri, che porterà al suicidio del nostro, non mostrato (ottima scelta) dopo la condanna per omosessualità, nelle scene in casa sua dopo un furto e al commissariato, interrogato da un agente "più aperto" di altri. Queste ultime sono le scene più deboli a dirla tutta e che servono di puro raccordo alla vicenda e quindi risultano comunque funzionali anche se potevano  quanto meno inserite meglio nel montaggio del film. A parte questi pochi dettagli, "The Imitation Game" è un film pressocchè perfetto, che affascina e intriga, "per le cose non dette", "per l'importanza di avere un codice comune, indispensabile", "per l'elogio non banale che fa delle diversità",  per la sua messa in scena fortemente iconografica di quegli anni, che ben contrasta l'ego furente, geniale e diverso di Turing, per la fotografia di Oscar Faura, magnifica come una delle attrici più meritevoli degli ultimi anni, Keira Knightley, che nella sua Joan Clarke, rende appieno le contraddizioni di quell'epoca e che ha nella pellicola  il ruolo fondamentale di "aprire gli occhi", "rendere per così dire accessibile",  "liberare il genio incompreso" di Turing, evidentemente, non ci riuscirà fino in fondo. 

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