"Quando per tanti anni si ritorna su un argomento, se ne perde un pò il senso"
Autentico, credibile, sincero, terribilmente
vero. Potremmo aggiungere anche coraggioso. Si lascia presentare con queste
poche e semplici parole “L’ultimo giorno di Luigi Tenco”, scritto da Ferdinando
Molteni (Il secolo XIX, Il Foglio, ecc.) ed edito da Giunti. 159 pagine che si
leggono d’un fiato proprio come frenetici e deliranti sono stati gli ultimi
giorni vissuti da “Tenco Luigi”, un musicista raffinato con uno sguardo alla
ricerca musicale, al nuovo folk, un interprete intenso come i suoi testi, il
nome nell’etichetta di una valigia, un bagaglio “segreto” e pesante. Molteni
ripercorre in questo libro gli ultimi istanti, esattamente dalla partenza di
Luigi dalla sua casa-torre di Recco, quando ancora è in casa con la sua adorata
madre, Teresa Zoccola, da domenica 22 gennaio 1967. Dovizia di particolari che colpiscono
dalle prime pagine, quando si intuisce come l’autore faccia sul serio: va a
spulciare gli articoli di giornali dell’epoca che seguivano spasmodicamente le
serate del Festival di Sanremo. E giustamente, è l’evento (soprattutto mondano)
più importante della televisione italiana e dei rotocalchi in cerca di gossip.
L’Italia non è mai troppo cambiata da allora. Molteni descrive le condizioni meteo
su San Remo, i vestiti e le cianfrusaglie indossate dalle star e lo fa
esaminando vecchie fotografie, video dell’epoca, interviste e libri storici sul
compianto cantautore genovese. Anche le espressioni nei visi dei “coinvolti”
sono ben descritte. La potenza di questo libro, a differenza degli altri, è di
spogliarsi di finte teorie e supposizioni e raccontare le cose come realmente
sono andate. Punto per punto. “Terribilmente vero” è la giusta affermazione perché
Molteni non usa giri di parole, è chiaro nell’esposizione parlando alla nostra
intelligenza (e non alla pancia come fanno molti): quello che c’è stato
raccontato nel tempo, le doppie e triple piste, le esternazioni di chi si
definiva “l’unico amico” di Tenco, sono foriere di imprecisioni, meri errori,
ritrattazioni e dichiarazioni che hanno generato solo confusione. “Tenco si
uccise perché vinse Finchè la barca va”. No, Orietta Berti cantava “Io, tu e le
rose” (a cui Tenco aveva fatto i complimenti) e non vinse. A vincere fu “Non
pensare a me “ di Villa-Zanicchi. “Tenco era l’amante di Dalida”. No, Dalida e
il suo ex marito Morisse si lasciarono molti anni prima. “Il cadavere di Tenco
fu più volte spostato dalla sua camera”. Assolutamente falso dalle
testimonianze rese all’epoca dai dipendenti dell’Hotel Savoy. Complotti internazionali,
malavita, vertici festivalieri che storcono il naso? Meglio leggere “L’ultimo
giorno di Luigi Tenco” per apprendere che la cosa più semplice e lampante è
stata trasformata nell’ennesimo “mistero all’italiana” un po’ per morbosità un po’
perché non sia mai sporcare reputazioni e stroncare carriere. E’ preferibile invece,
infangare quella di un giovane cantante con tanto amore da dare e troppe
debolezze da sostenere. Una bilancia che pende solo da un lato. Due pistole
hanno il loro peso. In questo tragico percorso, Ferdinando Molteni, sempre attraverso
testimonianze rese alla Polizia da chi era presente, inquadrando tutti gli
attori sulla scena, traccia lo spaventoso “vuoto” di 4 personaggi molto, molto
vicini al cantautore genovese. Una presenza, quella di Dalida, ingombrante,
eccessiva, i cui sensi di colpa la condurranno verso il suicidio nell’87.
Quello che resterà di Tenco negli anni, alle generazioni future, purtroppo non sono
solo le canzoni, ma anche bugie e dolori (per la madre ed il fratellastro
Valentino in primis), persone che hanno cercato visibilità e a cui è stato
concesso troppo, le stesse persone che, nel contesto della morte di Tenco,
hanno più di uno scheletro nell’armadio ma che, probabilmente, con quella
morte, precisamente con quello sparo del 27 gennaio 1967, poco c’entrano… e
molta colpa hanno invece per aver coperto il tutto con il loro esibizionismo. O
opportunismo, come si evince dalla figura che sul finale ricompare come un fantasma che aleggia, come l’ultimo tassello di un puzzle
mai completato. I fatti sono più semplici e non c’era bisogno di scomodare il giovane corpo (ancora intatto) di Tenco Luigi. Niente teorie
dunque. Sono superflue perché sarà il lettore a trarre le sue conclusioni o,
meglio, l’unica via percorribile possibile. Tenco non è stato un miraggio,
Tenco è esistito, ha vissuto, ha cantato, ha amato, anche se non riusciamo ad
immaginarcelo ancora tra noi. D’altronde gli eroi son tutti giovani belli, gli
eroi son tutti giovani e belli…
"Se dentro le canzoni ci metto delle idee, queste idee si trasmettono con le canzoni" [ L. T. ]
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