Il
ritorno del "Teatro degli Orrori" è un pugno in faccia al perbenismo,
al qualunquismo, al menefreghismo che alberga oggi da padrone in questa
società malata e complice al tempo stesso. Sono necessarie canzoni come
queste, ma non basteranno di certo purtroppo a far prendere coscienza a
una popolazione che ama crogiolarsi su se stessa per non dire
rincoglionirsi. Giusto l'altro ieri avevamo recensito Necroide dei Bachi
da Pietra, il discorso, il messaggio, con altri mezzi e dinamiche, oggi
recensendo il Teatro, praticamente non cambia. Capovilla spazia
decisamente più sul sociale e ha un'ironia diversa da Succi, più
ricercata e a sensazione, ma è innegabile che entrambe le band, coerenti
e differenti nei propri percorsi artistici, stiano dicendo la stessa
cosa, ovvero, che ci voglia una scossa, che l'uomo ha perso la sua
strada... partendo dalla negatività, dalla mostruosità che ci circonda e
che noi abbiamo accettato, quasi come se nulla fosse e questo è un
fatto innegabile, cioè "il paradosso che andiamo vivendo" che spetta a
noi in primis, capire e fare... tante sono le esortazioni di Pierpaolo
in tal senso, che riescono a colpire ben oltre la semplice denuncia che
in Italia va tutto a puttane. Musicalmente "Il Teatro" sceglie di
arrivare subito dritto al punto, arrembante e incisivo, ma i brani
trovano dinamiche e arrangiamenti interessanti che non disdegnano certe
melodie malinconiche e suggestive, che vanno a segno, vanno oltre,
impreziosendo un corpus granitico e potente con variazioni e suggestioni
che si fanno apprezzare per bene dopo un pò di ascolti. Se a nostro
avviso "Il mondo nuovo" era un album decisamente "importante" ma che
poteva dare il fianco a delle critiche, perché forse i brani erano
troppi, perché i temi si rincorrevano e alcune cose restavano ai più un
pò criptiche, questo disco omonimo, queste dodici canzoni, fanno centro
pienamente perché sono tra tutte le qualità, in primis empatiche, non
nel senso che cercano di arrivare a tutti, ma che hanno una forza
d'intenti comune, "con la giusta rabbia", che ha l'urgenza di arrivare
all'obiettivo, sono in fondo come l'Italia dovrebbe essere:
"Disinteressati
e indifferenti": "questa mattina ho avuto un colloquio di lavoro questa
bella e 'avvanente signora mi chiede quali siano le mie aspirazioni
aspirazioni trovare un lavoro" un brano hard rock funk tirato a lucido,
con uno special notevole che chiude il cerchio in maniera mirabile:
"sono accadute tante cose ma mai non è successo niente e prova ne sia il
tuo disinteresse la tua indifferenza"
"La
paura": "si stava meglio in galera che prigionieri della strada senza un
cazzo da fare dal mattino alla sera se non perdersi all'infinito"
secondo singolo estratto, pur denotando per struttura una certa
somiglianza con "Io cerco te" arriva che è un piacere, è come se i
nostri sviluppassero, con una sezione ritmica sempre sugli scudi e una
varietà nelle soluzioni adottate che arricchiscono il tutto,
sorprendendo.
"Lavorare stanca": "E' fantastico
non dovere rincorrere la fine del mese ogni santo giorno che il padre
eterno concede alle nostre inutili vite" il brano che ha anticipato
l'album, lo rappresenta in pieno, potente, un vero e proprio fiume in
piena di musica e parole, ti travolge letteralemente e ricco di solo
apparenti contraddizioni nel testo, che contrappone famiglie e
fannulloni, rovesciando prospettive e accusando senza freni il sistema
Italia: "Amica mia scappiamo via da un paese che non cambia perché non
vuole cambiare. non vuole. Potrebbe andare peggio che ne so io: Potrebbe
piovere"
"Bellissima": "la vita è un buco
scavato a sacrifici imprecazioni e turni di lavoro mi seppellisco da
solo faccio da me" a narrare "la solitudine della gente abbandonata dal
proprio paese" dall'incedere ipnotica e in un continuo crescendo, varia
nell'arrangiamento, con un ritornello evocativo che non disdegna la
melodia, dolente e solenne: "non so perchè non mi ami più forse perchè
non ti appartengo" il brano è una dedica all'Italia, al paese che non
riconosce più i suoi stessi figli"
"Il lungo
sonno (Lettera aperta al Partito Democratico)": "aspettando che
cambiasse il mondo o che cambiassi tu sono cambiato io e senza
accorgermene adesso sono di destra" Diciamo solo che Giovanni Lindo
Ferretti dovrebbe ascoltare questo brano, magari più volte: "io sono già
morto e chi si è visto si è visto" c'è tutta la disillusione possibile
degli ideali espressa con una forza dirompente e fottutamente incisiva
ma "c'è tutto un sotto testo da vivere" tra dissonanze e risate."No non
ho detto sogno... sonno... sonno... maledetto sonno"
"Una
donna": "... una ragazza pronta a dare tutto ciò che ha, senza riserve
in cambio niente", carica di pathos, nel booklet manca appositamente il
testo a rimarcare il fatto di guardare attentamente la foto, dove una
ragazza curda di pochi anni ha un fucile tra le braccia e sembra
proteggere la madre e la sorella più piccolo, basterebbe questo per
spiegare il restare "senza parole" Pierpaolo racconta, "tra il mondo che
gira e il destino senza saperlo descrivere" decisamente evocativa, che
si inalbera in melodie ariose e complici, "toccante" nel suo affrontare
i contrasti con sguardo fiero: "sono profughi scappano da morte certa"
"Benzodiazepina":
ironica e beffarda "emozioni non ne provo più verso tutte quelle cose
che mi sembravano così importanti" col basso in evidenza, il reading di
Capovilla è un attento declinare delle "avvertenze", mentre la chitarra
elettrica punteggia e porta via prima dell'esplosione del ritornello,
tra stop and go e accelerate, a denunciare l'abuso di psicofarmaci che
anestetizzano e rendono sopportabile la realtà.
"Genova":
dedicata e ispirata dai racconti di un'amica che ha partecipato al
"Massacro di Genova" il brano procede violento e a scatti, arrembante,
intermezzato da parti più lente e dolenti che lasciano il posto a quello
che è a tutti gli effetti un funereo rogo: "eppure a Genova soffia una
brezza francese profumo di storia e di lotte operaie"
"Cazzotti
e suppliche": "non è l'amore che ci spinge a vivere una vita così... ma
che cazzo di vita vuoi'???" variegata, lucida e alcolica, decisamente
acida nel suo dipanarsi, tra parti lente e più corpose, con tanto
citazione di Gaber: "Io se fossi Dio farei piazza pulita ma non sono che
uno stronzo qualsiasi ubriaco e attacca brighe che ti guarda di storto
al bar e stai attento perché ti faccio male io sono e mi sento solo e
vorrei morire"
"Slint": "ora sto zitto che se
mi sentono parlare da solo, ad alta voce, arriva l'infermiere quello
simpatico che mi prende in giro ma poi mi lega come questa mattina"
ballad al pianoforte, dolente e poetica che ha una struttura
progressive, tra ricordi d'adolescenza e le evidenti citazioni musicali,
a noi viene in mente Pirandello e la sua teoria della follia, che per
gridare la verità bisognava semplicemente essere codificati come pazzi e
crediamo in tal senso possa essere letta come una vera e propria
metafora sociale e politica,
"Sentimenti
inconfessabili": tema non nuovo, "il modus operandi post mortem" dei
rimasti, "e vaglielo a spiegare ai cattolici italiani" e a quelli "che
neanche da morto ti lasciano in pace".... che "C'è persino Federico quel
tignoso di un laziale che scorreggia recensioni" il tutto è trattato
con arguzia che non può non colpire e che esprime ben altro: "ma per dio
risorgere oppure restarsene a casa a guardare la tv bevendo birra
ruminando hamburgher lo vuoi col ketchup?" Alla fine è un brano
decisamente accattivante, di pop rock elettronico dal mood vintage che
si ricollega a "Una giornata di sole", dove l'ironia è sempre più
beffarda e gioca a far riflettere tra le righe e le musiche si
avvicinano al popolo con perizia. Della serie provo a venirti incontro
più che posso per farti capire che "sei già morto"
"Una
giornata al sole": "Quasi quasi mi piace più cercarti che incontrarti
per davvero ma se ti incontro poi mi viene voglia di raccontarti la mia
vita intera, quella di ieri e quella di domani" dall'incedere
trascinante, con una ritmica che sbeffeggia dinamiche funk dance, è
forse l'unico pezzo che trasuda speranza dell'intero album, che piega
l'elemento pop a suo piacimento: "non chiedo tanto vorrei soltanto il
tuo sorriso" miglior modo di chiudere in fondo non poteva esserci,
perché anche in questo caso Pierpaolo si rivolge al suo paese.
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