I
Calibro 35 tornano a farci felici con “S.P.A.C.E.”, un album che
si possono permettere solo musicisti da 90! E i Calibro lo hanno
dimostrato ancora una volta. Il concetto di Universo in realtà non è
innovativo nel panorama musicale. Già il rock'n'roll di Bill Haley e
il beat dei Beatles, così come David Bowie guardavano
all'Universo ora come l'ignoto ora come una metà da raggiungere
(prima o poi). Ma in questo lavoro il concetto di Universo viene
fuori come “evoluzione sonora”, come ricerca di nuove idee,
sperimentazione musicale anche. E sotto gli occhi vigili di Tommaso
Colliva, “S.P.A.C.E.” è stato registrato tra le Officine
Meccaniche di Milano e il ben noto Toe Rag di Londra, proprio come si
faceva una volta, avendo a disposizione solo 8 tracce, con i
musicisti che in studio interagiscono e cercano di realizzare il
miglior prodotto possibile, improvvisando anche. E' la magia di
questo lavoro, molto cinematografico, tra il western e lo scifi a cui
si sono ispirati, molto anni '70, con i suoni “veri”, grezzi,
dove spesso qualche fruscio dona l'impressione di far rivivere un
nastro lasciato chissà da quanto tempo in un cassetto. Un altro
lavoro magistrale per i Calibro 35.
“74 Days After Landing”: l'atterraggio è spaziale e spettrale, di un cuore che batte mantenendo la calma, di melodie ultraterrene per degustare le nuove sonorità dei Calibro...
“S.P.A.C.E.”: direttamente da un film di Sergio Leone, dove il sapore vintage è più che palpabile così come i suoni anni '70, dove la batteria prog dà vita alle elettriche e all'hammond e dove il flauto di Gabrielli ci riporta di corsa ai Jethro Tull.
“Bandits on Mars”: rock fino alle viscere, dotata dell'improvvisazione in synth e altamente cinematografica, i piatti di Rondanini nel cosiddetto bridge cavalcano sul west...
“Brain Trap”: lo spazio-tempo termina qui, nei tonfi elettrici, lontani, metallici...
“Ungwana Bay Launch Complex”: funkeggiante nelle elettriche, qui i Calibro mettono su un mood sempre anni '70 che inizia sospettoso e prende vita con riff assassini che denotano l'alta professionalità della band in un finale potente...
“An Asteroid Called Death”: la batteria in loop apre ad un hammond morbido, subacqueo si muove sullo sfondo creato dal sintetizzatore...
“Thrust Force”: riprende “vigore” come da S.P.A.C.E. questo rock d'antain, che nella melodia ricorda anche alcune canzoni italiane dell'epoca, dai riff ipnotici e dalle chitarre allo stato brado e piacciono così senza dubbio...
“A Future We Never Lived”: un leggero fruscio di sottofondo riesce a catturare degnamente un brano nato live e “portato” al Toe di Londra per avere un aspetto sì precario inteso come l'uscire dagli stereotipi da studio...
“Universe of 10 Dimensions”: tridimensionale o forse più, il basso stanco dona un mood sinuoso e sembra non fregarsene di quello che accade intorno a lui, dell'organo, dei drums impazziti, dei synth freddi...
“Across 111th Sun”: la ritmica si snoda nelle diverse tonalità sprigionando delle cadenze funky soprattutto dal basso... il finale è un abbaglio...
“Something
Happened on Planet Earth”: quatta si muove nello spazio universale,
dove l'aria che manca sembra farsi sentire, un peso incombe silente e
si trascina il brano... e neanche le poche note del clarinetto
possono dissuadere... forse perchè si inizia a scorgere il Pianeta
Terra, da cui non si vuol far ritorno...
“Violent Venus”: ancora un prog ben sostenuto strumentalmente dai nostri, violento quanto basta...
“Neptune”: così lontano da noi... solo flauti leggiadri che si perdono nell'Universo...
“Serenade for a satellite”: c'è chi chiude con una ninna nanna, chi con una serenata per un satellite... dove il rombo dei motori rimettono in moto la navicella per tornare a casa, un ultimo saluto e un tamburo come un cuore che torna a battere più forte...
Commenti
Posta un commento