Zio Felp - Pace, Amore & Bombe Carta



“Pace, Amore & Bombe Carta”. Si chiama così l'album del giovane Zio Felp che, già dal titolo e dal nome che porta, non può che preannunciare un carico di hip-hop e nervi tesi. Dai palchi condivisi con Caparezza, l'artista pugliese giunge a questo disco che sembra quasi un concept perchè in realtà ogni singolo brano è un crescendo di rabbia e sfogo, un momento della sua vita passata a studiare e lavorare, a farsi il mazzo, a vedersi diverso dagli altri, ad isolarsi. Ecco che ne viene fuori un lavoro che parla allo stomaco e fa male, perchè questo pugile nel ring sferra colpi che fanno male senza fare il gradasso come qualche collega più “rinomato”. Zio Felp è diretto, ci gira poco intorno per spiegarti come funziona la società di oggi e lo fa spogliando il disco di tutto, con una musica che è secondaria, recuperando il vecchio stile e senza troppi ammiccamenti al pop. Certo, il rischio si deve correre e non è facile saltare il fosso ma la stoffa c'è e Zio Felp si sa destreggiare. Ed oggi è quasi merce rara nel panorama hip-hop. 

“Pace amore & bombe corte”: un testo vomitato a raffica, parlato talmente velocemente che riesce non facile apprendere tutti i concetti, che sono più immagini: “Sentiti sto pezzo e resusciti come ballando, week end col morto” dove quel “bombe carta” è un richiamo inevitabilmente alle droghe che girano in certi ambienti d'elitè. Il manto elettronico molto minimal resiste anche in “Io mi rompo le palle”, dove con foga, questo “rappato” molto di gola, è intimo: “Scrivo i miei testi sulle lamine con uno scalpello che fa scintille quando sfiora queste pagine, succedono più cose strane se nei testi si parla di troie e la musica va a puttana”, un'alienazione da tutto e da tutti come in “One”, sinuoso nella melodia che fa da sfondo, dove chiaro è il concetto ribadito: “Chiedi aiuto che tanto qui non t'aiuta nessuno... io lavoro e quel che spendo è solo con i miei guadagni e scrivo poco perchè manco ho il tempo per grattarmi”. In questa escalation di rabbia, Zio Felp passa “Giorni” “dove la testa ti pesa tra le spalle”, momenti difficili per il giovane pugliese che fa “m'ama non m'ama con le spine di una rosa” e dove “bastano le cuffie ad isolarti dal mondo” ma con la consapevolezza che la sua salvezza è scrivere e cantare. Un velo elettronico e poco altro, dove la sua voce si fa sempre più cupa. In un disco del genere la pecca potrebbe essere un pezzo come “Io non”, perchè l'hip hop fa difficoltà (così come il reggae) a liberarsi da certi stereotipi anche se lo fai proprio per criticare quegli stereotipi, la trappola è dietro l'angolo: “Resto fermo ad ascoltare chi soldi ne vuole di più, ma la colpa è sempre della tv quando tette e culi ti congelano come un igloo”. E' in “Demoni” che mette su un ritmo in levare fatto di “demoni in testa da sconfiggere e una gara a chi la dura... per sopravvivere ti basta in fondo vivere”. L'unico problema è che questa voce così roca e “malata” va da sé e si stacca dalla piacevole ritmica, perchè non riesce ad essere melodica, anzi in Zio Felp non c'è nulla di simile, ma qualcosa di più sviscerato, vomitato per l'appunto. Una lava, calda è impetuosa che, dove passa, brucia. 

Da “My Valentine”, dalla casa del suo paese natio, il disco vive il secondo periodo dell'artista, trasferitosi a Bologna, apre un'altra finestra dove la ventata è fresca, cadenzante. Qui è un San Valentino desolato: “Pensa a quanto è triste ristorante e tavolino, cena a lume di candela, su Facebook telefonino”. In “Cambia” c'è un mix di roba e di caos che forse è anche quello che ha in testa, nel momento in cui l'ha scritta, l'autore e il pezzo ne risente ma sicuramente, rispetto ai precedenti, qui è il groove che sopperisce e vince: “Cambia la politica e tu cambi partito ma non cambia la musica se non cambi spartito”. Questo passaggio da una città all'altra, questi cambiamenti nel bene e nel male, stordiscono come in “Accanto a me”, una dichiarazione d'amore verso le sue radici, verso gli amici e la famiglia: “Trovo sfogo solo con il microfono e chi mi vede dall'esterno non capisce se scherzo...” ma non ci piace il ritornello della voce femminile “sintetica” che fa un salto indietro di un ventennio. E Davide Zio Felp parla di “testamento” non a caso perchè in “Flow” butta giù un flusso di parole con cattiveria e cammina sul filo di lana come già fatto con “Io non” qui facendo anche qualche nome: “In radio se ne sentono parecchie tanto che se metti le cuffie ti sanguinerebbero parecchie”, ce n'è per tutti, musici, showgirl, eventi festivalieri e... showbiz. Lo preferiamo in altri pezzi. L'amore ai tempi del... sesso è quello che viene raccontato in “Soul Sex” che ha più caratteristiche rap in senso stretto, i suoni sono dispettosi ed ironici ma convince poco: “Non posso stare con te, non vuoi restare con me, non posso stare soul sex...” mentre nel finale “Tru Story” l'amore viene visto in maniera più intima, come sentimento, vissuto sulla propria pelle e che ha lasciato un segnale come un tatuaggio indelebile. E' poco gradevole però questo modo di cantare così ansioso ed aggressivo in questo caso, considerando il testo un po' banale: “Passano mesi ma anche il tempo non guarisce le ferite, le emozioni vagano tra amori, odio e frasi non capite”.











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