Afterhours - "Folfiri o Folfox"



"Folfiri o Folfox", il nuovo album degli "Afterhours" non mancherà di fare discutere oltre che riflettere, come dovrebbero fare i dischi importanti. Il dolore, la sua essenza, quello che significa,  doverci convivere, prima con la malattia e soprattutto dopo... con la realizzazione della perdita... e ancora, con l'esistenza di Dio, "in una società governata dalla casualità", restare immobili aspettando che le cose accadano con noi o senza dentro, o reagire, attaccare, fare i conti, rimettersi in gioco, riscoprendo la libertà nell'essere semplicemente un uomo. Di questo parla Manuel Agnelli in "Folfiri o Folfox" lo fa con un'ironia che è inevitabilmente più amara rispetto al passato e con una forte carica di lucidità spietata, mettendosi a nudo totalmente raccontando in versi lil suo dolore "intimo" che gli permette di guardare (e farsi domande cercando risposte) all'esterno... a gli aspetti sociali dominati dal fatalismo dove tutti sembrano impegnati più che a reagire e a ritrovare la propria libertà interiore ad aspettare che Dio, il Destino, La Fortuna intervengano. Musicalmente l'album è un concentrato di stili che sembrano quasi ripercorrere la storia degli Afterhours. Un disco ovviamente non facile, un disco che ovviamente  ha bisogno di ripetuti ascolti, un disco che ovviamente non possiamo che consigliarvi:

"Grande": procede acustica e ostinata con la voce di Agnelli sopra le righe,  coi violini a sorreggere fino a diventare protagonisti in uno splendido finale:"in questo sogno qui noi non muoriamo più e non moriremo mai" la morte del genitore fa si che il ragazzo diventi adulto una volta per tutte: “Avevamo un patto io e te e l’hai tradito tu  Perché io diventassi grande  scoprendo che il dolore non era la destinazione  vera”.

"Il mio popolo si fa": "un bravo spacciatore aspetterà che tu abbia bisogno di lui" il brano che la band ha presentato per primo al pubblico è un tripudio di dissonanze, dalla ritmica marziale e irruente: "se l'orrore siamo noi è l'orrore quel che vuoi" 

"L’odore della giacca di mio padre": intensa ballad al pianoforte immersa in scorci noise psichedelici: "si lo so che tu resti dentro di me"

"Non voglio ritrovare il tuo nome": "Scava sotto i buoni c’è un cadavere, sotto i cattivi un angelo ucciso da un’idea”  il primo vero e proprio singolo estratto è una marcetta coi synth che gli danno corposità, che per struttura e risvolti melodici può ricordare "Non è per sempre" "dicevi che la gente ha ciò che merita"

"Ti cambia il sapore": "è tutto più chiaro sai se non puoi decidere", mood decisamente anni '80, ritmiche arrembanti e riff di violini a disquisire sull'esistenza di Dio di fronte al dolore

"San Miguel": il brano più sperimentale dell'album, uno spoken disturbante, minaccioso, il titolo fa riferimento alla preghiera dei piloti che trasportano cocaina in Sud America: "In un terra di predatori il leone non teme lo sciacallo"

"Qualche tipo di grandezza": "se fossi in te mi lascerei non ti vuoi vendere io lo farei" di matrice anni '90 quasi grunge, potente e trascinante

"Cetuximab": strumentale dalla ritmica serrata che cresce d'intensità e derive "malsane"

"Lasciati ingannare (una volta ancora)": "sola ci vuole di più a truccare tutto quello che hai dentro sai... stanotte quanto tempo ti dai?" ballad per chitarra e voce "lasciati ingannare una volta sola come quando era possibile lascia che succeda cambiami la vita e dimentica chi sei" con la ritmica in evidenza nella seconda parte

"Oggi": apre la seconda facciata dell'album, ricollegandosi idealmente a "Grande", dall'arrangiamento da applausi, parte spoglio ma presto si arricchisce e diviene una ballad ricca di pathos che procede a strappi con gli strumenti che entrano ed escono sposandosi benissimo col testo: "ti direi che oggi può guarire tutto ti direi che oggi è dove sei"

"Folfiri o Folfox": la titletrack è un filastrocca dall'aria decadente, lambiccata d'ironia per una denuncia sulla malasanità "So che la sanità  può curare i suoi  grandi numeri ma non me  E tu sei da sempre un ribelle ma morirai per un protocollo sai” 

"Fa male solo la prima volta": "hai una bella bocca battiti con me li conosco dall'odore quelli come te" incedere trascinante e claustrofobico, che si stempera solo in occasione del bridge... con la consueta ironia a narrare della perdita della purezza:  “Entra nel futuro Entra in questo porno vengono le idee migliori quando non le vuoi”.

"Noi non faremo niente": "sogna fino a che non respirerai" acustica e trasognante, dal mood sinistro e sinuoso, un gioiellino psichedelico:  "se non sento più niente niente mi può fare male"

"Né pani né pesci": "Tu vuoi che sia magica la tua libertà mentre io mi eccito a dire la verità" rock ballad "disturbata" di sicuro impatto, solenne ed evocativa: "Ti stringo per sorreggerti e ti trascino giù"

"Ophryx": l'esatto opposto del primo strumentale Cetuximab. Il brano è totalmente incentrato su gli archi, meravigliosi, ricchi di oscuri presagii di Rodrigo D’Erasmo, che firma il brano 

"Fra i non viventi vivremo noi": "Se non vuoi credere a Dio alla mostruosità puoi" botta punk arrembante e dissonante con una critica nemmeno tanto velata alla scena indie italiana: “È una madre piena di attenzioni il pubblico che abbiamo noi, ma alla mamma non disobbedire o saranno guai”. 

"Il trucco non c’è":  "mi fido di te" dopo un inizio quasi folk, su un tappeto di violini pizziccati che esplodono per una sorta di reading teatrale "io voglio che tu sia Dio"

"Se io fossi il giudice": la fine dell'album è lasciata a questa ballad ariosa e circolare: “In mezzo a tutta questa casualità chi scappa chi è di pietra chi si converte a Dio chi spiega le ali e vola via ognuno ha un modo di abbracciare il modo che ho è  soffrire fino in fondo libero di non essere più me libero di non piacerti più libero di buttare tutto via”. Impossibile non pensare a "X Factor".

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