Che
sia un disco che non ci gira intorno, lo si capisce sin dal titolo:
“Faccio quello che mi pare”. Manuel Rinaldi mette su un album
“contro”: contro lo Stato e chi ci governa, contro chi non si
ribella, contro chi dovrebbe realizzare i suoi sogni e invece... e
invece qui Rinaldi, rievoca sin dalle prime note, dal suono delle
chitarre, dal sound grezzo – che non è sempre un male anzi – e
dalla batteria, i mitici Nirvana. Svincolandosi dalle etichette,
sicuramente ne ha scelto una pesante e non è e non può essere un
caso in brani come “La tua faccia come quella di Courtney” o “Il
mio Avatar” o ancora “Non ho capito”, perchè più che di
influenza si può ben parlare di aver assorbito l'era grunge e la
personalità di Kurt Cobain, un viso d'angelo così ingenuo e così
terribilmente triste. Sembra quasi che Rinaldi lo usi come suo
doppio, come reincarnazione. Kurt non ce l'ha fatta, è rimasto
schiacciato sotto il peso di un sistema che se da un canto lo ha
attratto, dall'altro lo ha distrutto, ovvero lo “showbiz”. Il
cantautore emiliano invece, riversa nella società odierna, nei gesti
finti della quotidianità, tutta la sua amarezza. Dà tanti consigli,
sopratutto alle giovani generazioni, ma forse neanche lui sembra
convinto che ci sia una luce in fondo al tunnel. E l'ultimo brano del
disco sembra quasi un testamento. Speriamo di no, speriamo che sia
solo provocazione, come dice lui. Il disco, uscito ad un anno di
distanza dal precedente, vede la produzione artistica di Fabio
Ferraboschi e Stefano Leonardi in veste di autore.
“Lo
Stato dei soldi”: massicce chitarre punk ed i riff ne sanno
qualcosa, si stendono su un testo eloquente: “Ha un bel vestito ma
vuole i soldi, predica bene ma vuole i soldi, lui fa promesse non le
mantiene vuole ingannare, lui vuole i soldi. Te li porto adesso,
saldo il debito, tutto il liquido”, chiudere il conto con chi ci
governa e manipola... sembra quasi impossibile non avere debiti...
“L'ultimo
giorno”: elettriche & distorsioni, rock & melodia, binomi
in questo brano stanco: “Comincia, arrabbiati, urla e distinguiti,
cerca di vivere come non hai fatto mai...”
“Faccio
quello che mi pare”: intro nirvaniano, come lo sono gli “yeah
yeah” e l'assolo, insofferente quindi è il termine esatto. Poi
arriva un sostenuto ritmo dal sapore grunge ed è qui che il disco
mostra il suo volto più puro: strumenti in studio e poco altro:
“Faccio quello che mi pare, dico quello che mi pare, con la faccia
che mi pare”. Fermarsi, imparare, provare... è la ricetta di
Rinaldi per essere sé stessi, per non piegare la schiena.
“La
tua faccia come quella di Courtney”: il brano precedente ci dà
ragione, visto questo singolare brano. Strofe
minimal, dove la rabbia si rivolge ad un'ipotetica Courtney Love,
probabilmente un po' “malata”, di un amore “drogato” come il
suo per Kurt Cobain: “Sai esageri un po', sei rigida e poi ti rompi
in fretta. Guardi i videoclip di scarso interesse e ti strafoghi di
carboidrati senza ritegno...”
“Il
mio Avatar”: come i migliori Nirvana, anche se probabilmente
Rinaldi preferisce non essere “catalogato” musicalmente, questo
grunge ci mostra come lo sdoppiamento del nostro è sicuramente un
innocente ed incazzato Cobain a cui dà un consiglio, non certo quello
di spegnersi lentamente: “Ehi mia cara coscienza, ehi metti la sveglia
e incomincia a bruciare come se non ci fosse un domani”...
“Non
ho capito”: anche se non similare, il sound alla “Heart-Shaped
Box” c'è tutto, più secco certo con una buona dose di sfiducia:
“Non ho capito se ha bisogno di qualche sostanza vitale per non
ammalarsi d'amore. Non ho capito come star bene senza qualche
miscuglio geniale, non ho capito come star bene solo con l'erba sotto
i piedi da calpestare”... e via di giochi di parole
“stupefacenti”...
“Compro
un volo per la libertà in Inghilterra”: l'illusione di una ballad
acustica finisce presto. Un testo più ironico dei precedenti, di
fattura new wave “... oggi è una giornata di merda, mi pulisco le
idee faccio quello che mi pare... troppo...” tutto tende alla
ricerca della felicità ma il modo in cui Rinaldi canta è da uno
poco convinto del suo futuro... in Inghilterra o in qualsiasi altra
parte del mondo.
“Non
far finta di niente”: si, anche qui sentirete uno “spirito
giovanile”, le stesse distorsioni e l'attacco di batteria è palese
oltre che ben in vista, testo senza fronzoli ma troppo semplicistico: “Non
far finta di niente, vedo i porno che fai, se lo vuoi puoi aprirti
una rivendita, non far finta di niente usa la pelle che hai, fai da
te, fai per tre, responsabilità”.
“La
gente giusta”: “Tu non mi conosci, tu non sai chi sono. Tu ti
prendi gioco di me e se ti faccio una domanda personale non rispondi.
Tu non mi saluti, tu mi insulti e sputi, tu mi rompi il gioco più
caro che ho e se ti metto in punizione poi piangi”, il brano più
convincente del disco, che ripudia le convenienze, i finti rapporti,
poi rimane imbrigliato nel chorus, ma gli arpeggi disegnano
interessanti melodie.
“Lo
fai per il mio bene?”: strofe minimal e ritornello rockeggiante,
cupo quanto basta, la batteria interviene come a voler far male, a
bastonare, a punire: “Conta fino a 10 e poi parla, lascia che ti
passa e poi vai. Mastico dei chiodi che mi hai dato tu da mangiare,
stupido pensare che è per il mio bene...”. Il finale lascia ben
respirare il pezzo...
“Stanco
degli Dei”: anche in questo reale epilogo, le strofe sono ricche di
alterazioni. La percezione che il cantautore si ponga con un
atteggiamento “stanco”, lo avevamo avvertito, ma qui lo dice
anche più chiaramente e forse con frasi che spaventano: “Sento il
polso e sta per rallentare, la soluzione è qua, pronta da iniettare.
Gli occhi degli Dei, mi fanno stimolare, serotonina e poi lasciami
bruciare...”. Assolone rock potente per un finale psichedelico e
spaziale...
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