“Se ti senti solo quando sei solo,
sei in cattiva compagnia”.
Per fortuna che c'è la Netflix a
riportarci sulla retta via. Dopo aver parlato in questi ultimi giorni
di medical e police procedural tutti identici tra loro, serie
decisamente poco originali e prive di qualsivoglia attrazione,
finalmente arriva “River” a rimettere tutto in ordine e a dare un
senso alla serialità statunitense che ultimamente pecca parecchio in
genuinità. “River” ha il marchio Netflix, che stavolta scende in
campo collaborando con la BBC, altro simbolo della qualità seriale
british, e questa dote la si percepisce fin dalle prime battute. E'
un crime che disorienta, trascinante, molto cupo, insomma ha tutti
gli ingredienti necessari.
Certo,
è pur sempre un thriller psicologico e di thriller psicologici
negli anni ne sono stati inventati parecchi, ma “River” da quel
qualcosa in più, dovuto anche alla maestria di un cast decisamente
di alto livello. Molti l'hanno definita una serie poliziesca
paranormale, ma “River” in realtà è molto di più. In questo
caso il “River” del titolo non sta per “fiume”, ma per il
cognome dell'ispettore protagonista, interpretato perfettamente da
Stellan Skarsgard. E' notte e due ispettori di polizia, River e la
collega Jackie “Stevie” Stevenson (Nicola Walker), sono in giro
per Londra in auto, tra cibo spazzatura, risate e l'ascolto di hit
come “I love to love” di Tina Charles, che aprirà e chiuderà
non solo il primo episodio, ma anche la stagione intera, sarà il
brano che ci accompagnerà per tutti i sei episodi.
Insomma sembra un momento normalissimo, poi però tutto cambia: una macchina sbuca dal nulla, il nostro protagonista comincia ad inseguirla, fino all'appartamento di quest'ultimo, lo rincorre, salendo a fatica decine di scalini, anche perché River non è più l'aitante giovanotto di un tempo, quindi risente di tutto lo sforzo. Arrivato in cima, urla al ragazzo di fermarsi, ma questo si butta di sotto, morendo. E' lì, mentre la gente urla, la fidanzata del ragazzo piange disperata e sirene si sentono avvicinare in lontananza, che scopriamo l'amara verità: la collega Stevie non esiste, è solo frutto della mente di River. Stevie in realtà è morta poco tempo prima assassinata da un individuo che ha sparato dall'auto in testa alla donna. Quella stessa auto che River ha ricorso poco prima. Per River la morte della collega, che per lui non era soltanto una collega, diventa una vera e propria ossessione.
Quindi la serie si divide tra la ricerca dell'assassino di Stevie e la quotidianità di un uomo che parla da solo. Perché in realtà River non parla soltanto con Stevie, con la quale balla, canta, si diverte, litiga, ma vede anche altre persone non più in vita. Il primo episodio è imprevedibile, sul finale di esso, vediamo prima River che canta in un karaoke pensando che l'assassino della sua collega sia già morto, apparentemente rilassato, finalmente sereno, ma poco dopo rivediamo lo stesso nella sua camera da letto, dove ai piedi dello stesso sta seduto quello stesso ragazzo che si è buttato poco prima dal tetto della sua casa a comunicargli che forse il caso non è del tutto risolto. C'è molto altro da scoprire. In realtà quelli che sembrano fantasmi effettivamente non lo sono, sono chiare espressioni dell'inconscio dell'uomo. River non è Melinda Gordon, è un vecchio ispettore di polizia, dalla mente ferita e dall'animo spezzato, è un uomo solo ed è in quella solitudine che nascono le sue paure e le sue "follie".
Nel cast compariranno molti altri personaggi, quelli da ricordare sono: il detective Ira King (Adeel Akhtar), nuovo collega di River, Rosa Fallows (Georgina Rich), psicologa della polizia, nella quale River è costretto ad andare contro la sua volontà e Chrissie Read (Lesley Manville), capo del dipartimento. Abi Morgan, la stessa che è stata sceneggiatrice del film “Shame”, è qui creatrice e showrunner della serie. Non si sa se la BBC vorrà dare vita ad una seconda stagione dello show, visto che è stata presentata come una mini-serie che ha un inizio ed una fine, ma noi speriamo che “River” possa tornare presto negli schermi di tutto il mondo, grazie alla Netflix che l'ha messo a disposizione in 18 Paesi contemporaneamente, perché sentiamo proprio il bisogno di crime come “River”, una serie essenziale, spiazzante e coinvolgente.
Insomma sembra un momento normalissimo, poi però tutto cambia: una macchina sbuca dal nulla, il nostro protagonista comincia ad inseguirla, fino all'appartamento di quest'ultimo, lo rincorre, salendo a fatica decine di scalini, anche perché River non è più l'aitante giovanotto di un tempo, quindi risente di tutto lo sforzo. Arrivato in cima, urla al ragazzo di fermarsi, ma questo si butta di sotto, morendo. E' lì, mentre la gente urla, la fidanzata del ragazzo piange disperata e sirene si sentono avvicinare in lontananza, che scopriamo l'amara verità: la collega Stevie non esiste, è solo frutto della mente di River. Stevie in realtà è morta poco tempo prima assassinata da un individuo che ha sparato dall'auto in testa alla donna. Quella stessa auto che River ha ricorso poco prima. Per River la morte della collega, che per lui non era soltanto una collega, diventa una vera e propria ossessione.
Quindi la serie si divide tra la ricerca dell'assassino di Stevie e la quotidianità di un uomo che parla da solo. Perché in realtà River non parla soltanto con Stevie, con la quale balla, canta, si diverte, litiga, ma vede anche altre persone non più in vita. Il primo episodio è imprevedibile, sul finale di esso, vediamo prima River che canta in un karaoke pensando che l'assassino della sua collega sia già morto, apparentemente rilassato, finalmente sereno, ma poco dopo rivediamo lo stesso nella sua camera da letto, dove ai piedi dello stesso sta seduto quello stesso ragazzo che si è buttato poco prima dal tetto della sua casa a comunicargli che forse il caso non è del tutto risolto. C'è molto altro da scoprire. In realtà quelli che sembrano fantasmi effettivamente non lo sono, sono chiare espressioni dell'inconscio dell'uomo. River non è Melinda Gordon, è un vecchio ispettore di polizia, dalla mente ferita e dall'animo spezzato, è un uomo solo ed è in quella solitudine che nascono le sue paure e le sue "follie".
Nel cast compariranno molti altri personaggi, quelli da ricordare sono: il detective Ira King (Adeel Akhtar), nuovo collega di River, Rosa Fallows (Georgina Rich), psicologa della polizia, nella quale River è costretto ad andare contro la sua volontà e Chrissie Read (Lesley Manville), capo del dipartimento. Abi Morgan, la stessa che è stata sceneggiatrice del film “Shame”, è qui creatrice e showrunner della serie. Non si sa se la BBC vorrà dare vita ad una seconda stagione dello show, visto che è stata presentata come una mini-serie che ha un inizio ed una fine, ma noi speriamo che “River” possa tornare presto negli schermi di tutto il mondo, grazie alla Netflix che l'ha messo a disposizione in 18 Paesi contemporaneamente, perché sentiamo proprio il bisogno di crime come “River”, una serie essenziale, spiazzante e coinvolgente.
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