Fai bei sogni di Marco Bellocchio



"La verità ce l'ho sempre avuta sotto gli occhi" 

"I se sono il marchio dei falliti"


Marco Bellocchio colpisce ancora. E questa volta dritto al cuore. "Fai bei sogni" non è tanto un consiglio, quanto una speranza. Ma una speranza non può crescere in un terreno arido di affetti, di sentimenti, di emozioni e bugie. Troppe e insostenibili. Lo sa il protagonista, un Massimo qualunque, anche Massimo Gramellimi, autore del libro omonimo e protagonista della storia. Che se già ne scrivi, arrivi a parlarne e a condividerne il dolore, è affrontarlo se non superarlo. Cosa accade nella mente di un bambino che un giorno si sveglia e a cui dicono: tua madre è morta. Punto. Preghiera. Funerale. Lui solo fondamentalmente a soffrirne, a vivere di una schizzofrenia repressa come la verità, nuda e cruda ma pur sempre la verità. Un padre non molto presente, severo quanto basta, che vuole in fondo proteggere il figlio donandogli qualche momento che sarà fondamentale per il suo futuro: il Torino, il nuoto, ottime scuole, la fede. 
Ma Massimo in realtà si protegge da solo, col suo amico immaginario: Belfagor. La metafora di Bellocchio spiazza: perché un bambino dovrebbe trovare protezione nel famoso fantasma del Louvre? La risposta in realtà è proprio la verità che il bambino non ha mai saputo, che l'uomo ha tanto cercato. Ma Belfagor è un demone, quello con cui vive Massimo che ha intrappolato per sempre dentro di sé sua madre. È il demone dell'accidia, dell'indifferenza, di chi non reagisce. Qui, nella prima parte del film in particolare, la fotografia diventa inquietante, quasi da horror e le musiche di Carlo Crivelli donano quella sensazione di precarietà e inquietudine. 

Il Massimo bambino cerca un modo per tenere in vita la madre. Il suo insegnante, un prete, gli mostra quanto forte sia Dio. Poi flashback: il Massimo uomo cerca un modo per tenersi in vita. Lavora, diventa un giornalista rinomato, ama, scopre l'attacco di panico e la guerra nell'ex Jugoslavia. Tutto passa su di lui indenne o quasi. Valerio Mastandrea è il protagonista di questo film perché diversamente non poteva essere. Nei film ha sempre interpretato il "neo neo realismo" di un disadattato, di uno sempre fuori posto. Bellocchio usa le metafore per dare dei segnali non tanto al protagonista della storia ma allo spettatore. Belfagor, le canzoni anni '60, il varietà di mamma Rai in tv, a coprire una quotidianità disperata. Un articolo di giornale conservato, un tuffo dal trampolino, lo spettatore man mano intuisce perché la madre di Massimo è morta. Lo capisce poi se ha anche letto il libro e quindi il regista non può nasconderlo. Mossa intelligente. D'altro canto però, non si può prescindere dagli occhi assenti di Mastandrea/Massimo: la mdp punta molto sui primi piani all'attore, sul viso stanco che non riesce a versare una lacrima. Ma è una bomba ad orologeria che sta per esplodere e Massimo, seguendo i segnali come fari lampeggianti, conoscerà da solo la verità prima che quella scontata gliela mostri qualcun'altro. Nel finale però difficilmente lo spettatore potrà puntare il dito contro questa madre, nonostante lo faccia suo figlio. "Colpa" dei segnali. È una madre che ha preso una scelta complessa per sé e per tutti, una donna che difficilmente può essere giudicabile.


Interpreti:

Valerio Mastandrea
Bérénice Bejo 
Guido Caprino
Nicolò Cabras
Dario Dal Pero
Barbara Ronchi
Fabrizio Gifuni
Linda Messerklinger
Miriam Leone

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