Gli Stag sono un'anomalia nella musica
italiana. Partito da Sanremo il loro “leader” Marco Guazzone, ha
azzerato tutto in poco tempo ripartendo subito con la sua band che
non molla e fa bene. La sua è stata proprio una volontà. Una band
gli Stag, che camminano sul filo di lana tra l'indie, mantenendo una
certa autonomia e il pop fresco, giovane. Ma per la verità poco
strizzano l'occhio al commerciale e si sente per forza di cose. "Verso le meraviglie" è un disco dalla
melodia a volte cupa, che spesso è usa nel dark, dai testi
profondi, che guarda ai suoni elettronici senza essere invasivi e
non mollando mai la sensazione del “disco suonato”. Un disco ben
fatto, ben registrato, con suoni equalizzati attentamente. E poi c'è la voce
di Marco, che rapisce a dolcezza, a puntualità e musicalità...
“To the wonders”: colonna sonora
del film “Un bacio”, dove i nostri tornano a collaborare col
regista Ivan Cotroneo. Il piano che dà il via alla batteria in
sottofondo, frenetica ma flebile, un'aurea spaziale per una canzone
che si presta tantissimo al mercato internazionale, un piccolo
gioiello pop, godibilissimo: “Take me closer, to the wonders...”
ed entrano in scena i fiati dolci come la vocalità di Marco Guazzone
ed i violini martellanti che s'aprono nel finale...
“Le mie ombre”, loop di batteria,
pianoforte e violini: “Ho abbracciato le mie ombre, ho accettato il
mio lato oscuro ma quanto pesa il buio che mi porto dal passato”,
sound cupo e trasognante...
“Down”: … e sembra quasi il
continuo del brano precedente, dove l'elettronica è più viva, ad un
certo punto anche frenetica, ma che comunque non abbandona i bei
colpi di batteria.
“Kairos”: “So che ho sbagliato a
credere di esser troppo fragile solo per nascondermi. C'è una corda
intorno a me come fosse un'edera che si annoda e non fa respirare”,
è facile conoscere questa sensazione che attanaglia, di notti
insonni, i synth riffeggiano, poi nel ritornello è il pianoforte ad
essere nevrotico e sul finale viene fuori un violino tagliente per
tranciare quell'edera. Forse troppo ridondante, ma il pezzo merita
molto.
“Mirabilia” è uno dei brani che
gli Stag hanno rilasciato da qualche mese e che presentarono allo scorso Festival di Sanremo (rifiutata perchè ce n'erano meglio? Mah!) a questa parte prima di
approdare all'album, come i sassolini di Pollicino: “Come mai non
hai più l'equilibrio che ti tiene sospeso per percorrere tutto il
filo?”, si chiede Guazzone che con la sua voce si fa amare subito.
Siamo tutti pronti a saltare...
“Slay Tilling”: piano e tromba
suonano insieme per un altro testo in inglese come a dire che è una
band che si presta benissimo per un mercato di respiro internazionale
perchè se fossero cantati e suonati da produzioni americane staremo
qui “estasiati” a passarli in radio. Dovremmo apprezzarci
maggiormente...
“Vienimi a cercare”:
“Quante volte mi hai chiesto di andare ancora a nascondermi, mi
metto sotto quel tavolo oppure dentro una scatola, cercami,
cercami... io sono qui”, il pezzo più debole del disco che vede la
bella voce di Matilde De Angelis, un po' l'equivalente femminile di
Guazzone, a ben ascoltare.
“Dimmi se adesso mi
vedi”: la batteria scandisce questo pop dal piano nuovamente cupo,
i fiati guidano Guazzone: “Mi prometto che non canterò mai più di
te. Non senti che, non vedi che sto male... si muore per te...” e
speriamo anche di no, ma comunque l'assolo della tromba è piacevole
anche se è molto misurata.
“Da te”: fiati
distorti, percussioni minimal, un sound però troppo familiare: “Più
ti controllerò più mi distruggerai, più mi libererò più mi farai
tuo schiavo, più mi allontanerò più mi verrai a cercare, più mi
confonderai e più saprò che da te, da te, da te... non posso
scappare da te...” e questi rapporti intrecciati, difficile
sfuggire a loro...
“The helm”: le chitarre acustiche
lasciano lo spazio a synth velatamente techno aggressivi ed ossessivi
che cozzano col contesto e a riff che restano in testa...
“Oh issa!”: dal timone si
“spieghino le vele” per quest'altro singolo, con il tempo ben
scandito e gli arpeggi in vista, una canzone giovane e grintosa con
la voce di Marco sì malinconica ma da cartone animato: “Onde
diventeremo onde scivoleremo via come una lacrima dagli occhi” e i
fiati che mimano il chorus... sul finale synth massicci e questa
volta sono quelli giusti!
“I'm free”: sospeso, un piano crea
un mood sospeso, fa il verso alla voce, si inseguono... il senso di
libertà c'è, viene identificato, anche se il brano si sveglia nel
finale, volutamente.
“La notte è piccola per noi”: le
mani giocano sul pianoforte, sono morbide per una cover bizzarra in
effetti, di certo una band così non si è mai spinta a
reinterpretare le gemelle Kesler, ma la versione è simpatica
nonostante sia seria, vestita di loop e sintetizzatori timidi.
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