Ancora un altro personaggio femminile e
ancora una volta una protagonista assolutamente sopra le righe, per
usare un eufemismo, su Netflix nella nuova serie uscita pochi
giorni fa: “Glow”. Ci troviamo negli anni '80, ancora una volta
(dove sono finite le idee?), ci viene raccontata la storia di Ruth
Wilder (Alison Brie) ragazza trasferitasi a Los Angeles per inseguire
il sogno americano, sfruttando un talento che evidentemente non
possiede, per diventare attrice. Dopo svariati provini, lavori
sottopagati, comparsate, sta per arrivare l'occasione che stava
aspettando. Forse. O almeno così sembra. Sam Sylvia (Marc Maron),
autore di programmi tv di quart'ordine sta cercando dodici ragazze
per inserirle in un nuovo programma di Wrestler – sport che andava
di gran moda trent'anni fa – tutto al femminile.
Alla ricerca
appositamente di donne che non sanno assolutamente nulla di Wrestler
come d'altronde lui stesso, conosceremo un gruppo di squilibrate alla
ricerca di fama e visibilità, a qualsiasi costo. Tra queste, tra le
altre, ci sono: Debbie (Betty Gilpin), Cherry (Sydelle Noel) e Carmen
(Britney Young). Dieci gli episodi di questa prima evitabilissima
stagione, a dimostrazione del fatto che la Netflix sta producendo
troppe serie perdendo di credibilità e dando poco spazio a quelle
che realmente meritano di esistere. Tra gli esempi più palesi di
errori fatti negli ultimi tempi c'è quello della cancellazione di
“Sense8”.
Visto che le cause della cancellazione sono state
riferite come “problemi di budget”, noi ci chiediamo: invece di
produrre innumerevoli serie tv spesso anche ripetitive e senza senso,
non era forse meglio evitarne qualcuna e produrre un finale degno di
nota per una serie di successo che ha smosso i fan di mezzo mondo? Evitare ad esempio di ordinare serie come: “Girlboss” o “The
Get Down” o ancora “Lady Dynamite”, “Haters Back Off”,
“Easy”, “Flaked”, perché non dare invece spazio a qualcosa
di qualitativamente migliore? Ciò che è sicuro è che “Glow” ha un'idea di base alla
fine non da buttare, ma i personaggi non attirano l'attenzione, le
storie dietro le facce, i combattimenti, i dialoghi, tutto risulta
fondamentalmente anonimo e poco interessante.
Liv Flahive e Carly
Mensch, sono gli ideatori di questa serie estiva probabilmente messa
su come tappabuchi che ha tra i produttori Jenji Kohan, creatrice di
“Orange is the New Black” che continua nell'idea di riunire un
gruppo femminile con caratteri eccessivi ed esuberanti, ma
nient'altro unisce questa a quella serie, perché di certo “Orange
is the New Black” è tutt'altra cosa, però la mano è sempre
quella: personaggi sopra le righe, “occhi pazzi”, stramberie
varie, ma “Orange” resta comunque, a differenza di “Glow”,
una serie accattivante, con un incipit potente, idee forti e
personaggi entrati ormai nella storia della serialità statunitense.
Tutto cose che a “Glow” mancano visibilmente.
Personaggi e doppiatori:
Ruth Wilder (Valentina Favazza)
Debbie Eeagan (Barbara De Bortoli)
Cherry Bang (Laura Romano)
Carmen Wade (Benedetta Degli Innocenti)
Sam Sylvia (Massimo De Ambrosis)
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