Fabrizio Moro, Resoconto Live Cous Cous Fest - San Vito Lo Capo 20/09/2017


Sono purtroppo ancora i problemi tecnici quelli che fanno da padrone nell'ennesimo concerto del Cous Cous Fest 2017, segnato da microfoni bassi, chitarre assenti e casse che fischiano. Ieri ad essere colpito da un audio mai stato impeccabile è Fabrizio Moro, arrivato sul palco del “festival della diversità” di San Vito Lo Capo con un quarto d'ora di ritardo, mentre nelle prime due ore davanti ai nostri occhi si snocciolavano per decine e decine di volte le stesse pubblicità e lo stesso patetico teatrino che ogni anno vede - non si sa bene nemmeno perché avvenga tra l'altro a metà della manifestazione e non all'inizio o alla fine di essa - il famoso lancio del cous cous simbolo “d'oro” di una San Vito che ne ha fatto una forza da vent'anni a questa parte. 


Altra pecca i concerti collocati in orari improponibili, quando si potrebbe benissimo fare tutto in tempi più rapidi e senza perdite di tempo. Ma andiamo al momento più importante della giornata di ieri, 20 settembre, quando su quel palco si è esibito l'atteso Fabrizio Moro, con la sua voce graffiante, potente, con la sua particolarità, quella di essere evidentemente imperfetto vocalmente in parecchi punti, ma che forse ne diventa caratteristica peculiare, perché è proprio da questo suo essere “umano” che arrivano le emozioni più pure dei suoi brani, della sua voce, della sua musica. Moro è visibilmente contento, elargisce baci a profusione dall'inizio alla fine, la piazza è gremita di gente, mai come ieri sera, perché è stato anche ben visibile a tutti il calo di partecipazione quest'anno nelle prime giornate del Cous Cous Fest rispetto agli anni precedenti. 


Moro salta, suda, corre, urla dentro quel microfono basso; nessuno fa niente per risolvere i problemi fonici nonostante il pubblico faccia segni ben visibili e urli a sua volta che non si senta assolutamente nulla: la musica sovrasta completamente la voce. Solo negli ultimi brani qualcosa migliora per assaporare al meglio due chicche: “Sono solo parole” e “Un'altra vita” scritte dal cantautore per Noemi ed Elodie, due brani che arrivano a toccare le corde più intense. L'inizio del concerto è tutto per il brano che da il titolo all'album “Pace” per poi passare a farci ascoltare quasi tutti i pezzi di quest'ultima sua fatica discografica: “Tutto quello che volevi”, “Giocattoli”, “Semplice”, “La felicità”, “L'essenza”, continuando con i tre singoli: “Sono anni che ti aspetto”, “Andiamo” e soprattutto “Portami via”, brano che il cantautore romano ha portato all'ultimo Festival di Sanremo e che fa ascoltare al pubblico due volte, dedicandola al secondo giro giustamente alla persona per la quale questa canzone è stata scritta: sua figlia. 


Fabrizio Moro torna un po' al passato offrendoci un bis nel quale ripete due canzoni che aveva già interpretato durante la serata, oltre a “Portami via” infatti fa riascoltare anche “Alessandra sarà sempre più bella”, un po' come succedeva fino a vent'anni fa, quando davvero i bis erano bis e non brani preparati a tavolino consapevoli del fatto che ovviamente il pubblico ti richiamerà per ritornare sul palco. Nel mezzo di questo calderone di buona musica scorrono brani che hanno fatto storia: “Parole, rumori e giorni”, “Pensa”, “L'inizio”, “Libero”, “Eppure mi hai cambiato la vita” e la splendida “L'eternità”: “Aspetta qui, per un minuto, e stringi le mie mani fino all'infinito che se ti guardo poi non ci credo che da domani sarà tutto cambiato e non ci vedremo più, quando in fondo l'eternità per me sei tu”. 
Come sempre, Moro parla poco, dedica tutto se stesso a quella sua musica che rende visibilmente partecipi tutti, che riempie una piazza gremita, che in molti casi emoziona. Saluta con “Portami via” che chiude non solo la serata, ma anche l'ultima data di questo lungo tour che l'ha portato a toccare quasi 50 tappe in giro per l'Italia, dalla prima di aprile a Milano, fino ieri sera in quel di San Vito lo Capo. 
Saluta i suoi musicisti - Claudio Junior Bielli alle tastiere, Andrea Ra al basso, Alessandro Inolti alla batteria, Danilo Molinari e Roberto Maccaroni alle chitarre - e si congeda, in un lunghissimo meritato applauso.

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