Cinque
tracce sono un inganno. Non solo perchè ognuna giunge anche fino ai
14 minuti, ma perchè ogni brano è un viaggio. Una tappa. Ed ogni
micromondo si lascia alle spelle facce, suoni, paesaggi, odori. E'
nato live, nel senso più puro e “brutale” del termine, “It
Is Preferable Not to Travel with a Dead Man”,
l'album pubblicato da Felmey
con la newyorkese Chant
Records, del
musicista e compositore Alberto
N. A. Turra. Un
chitarrista con un bagaglio così pesante da trascinarsi dietro
valigie di rock, noise, improvvisazioni sperimentali, incursioni
funk, blues, scie di jazz ed empatia. A tratti cinematografico, come
il “Dead
Man” citato
di
Jim Jarmusch, questo
lavoro di Turra, nasce dal tour dell'album precedente “Filmworks”
e come un novello “Ecce Bombo”, “vedo gente, faccio cose”...
le imprime nel live allo
Spazio Lomellini 17 di Genova insieme al suo fido “vivo” compagno
di avventure Riccardo Barbera al non invasivo contrabbasso. Un lavoro
minimal teso, turbarto, acuto, lancinante, da ascoltare tutto d'un
fiato. Non per tutti, sia chiaro... “se
la bellezza è una forma del Genio”, come
dice
Oscar Wilde, allora
non è per tutti, ma solo per chi può comprenderla e ammirarla.
“Black
Madonna”: in presa diretta con i colpi di tosse in sottofondo,
graffiante ed intensa, nervosa e tesa, di chi lascia gocce di sudore
sul manico, nei giochi di hammer on e pull off, un noise che sa
aspettare, una chitarra che è “un'arma
che sostituirà la lingua”
tagliente nel finale colmo di applausi.
“If
you want me to stay”: … degli Sly and Family Stone, con palm mute
dark in stile “Sweet Dream” targato Manson, che viene loopata ed
il brano cerca di librarsi in cerca di un sound psichedelico, ne ha
voglia, si sente. Si sente quando accompagna a piccoli “scat”, la
sua amata guitar. Così la melodia viene mantenuta ma completamente
riadattata, in una veste davvero accattivante.
“Col
di Lana”: favola prog, distortamente anni '70, procede poetica,
ancora una volta cinematografica... e il contrabbasso fa il verso
alla compagna elettrica come a volerla insidiare... ma poi riesce a
prenderla per mano e a condurla tra le mulattiere delle Dolomiti dove
solo il suono degli “spiriti” della natura disturba. Jazz
visionario che dimostra come sia un album aperto ai generi,
spregiudicato. Ma per fare ciò non bisogna essere bravi, bisogna
essere maledettamente dei talenti. A metà brano, intorno agli 8
minuti, la pienezza armonica distorce la dolcezza, come se scalasse
l'ultima rampa del sentiero, per raggiungere la chiesetta in cima...
perchè il “solo” di Turra si fa così intenso da essere
spirituale, da farsi preghiera affinchè non finisse mai di suonare
la bellezza stridente della sua chitarra...
“You
don't know what love is”: firmata Raye-De Paul ed interpretata
dalle migliori indimenticate voci del jazz mondiale, l'incanto creato
dall'originale qui si fa curiosità, ricerca, dove il contrabbasso di
Riccardo Barbera pulsa come un cuore impazzito, ma ciò consente alla
6 corde di sbizzarrirsi, gli dà la spinta propulsiva di mantenere
salda la tensione che solo un live riesce a donare. Quello che si
prova quindi, quando ci si approccia ad un ascolto simile, è non
abbandonarsi del tutto. Non è affatto un dato negativo, al
contrario: essendo un disco fatto per chi ama la musica colta, per
chi riesce a cogliere tecnicismi ma anche significati intimi,
l'eccitazione che si cela, può solo farci l'amore.
"Cellule":
a firma Turra-Lo Giusto, il nostro scivola sulla telecaster e affonda
i colpi. Il manto dell'intro è un loop su cui si adagiano le dita
che fanno urlare le corde, le fanno vibrare come un mandolino
narratore, che racconta storie. Filamenti di blues nel finale delle
note, traccie di noise a chiudere, ad annullare spazio e tempo,
giungendo ad una liricità inaudita: è carattere, personalità. “Non
puoi fermare le nuvole costruendo una barca...”,
non puoi fermare una chitarra.
complimenti per la recensione!
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