"Con
la musica puoi spiegare che cos'è la bellezza... dobbiamo provarci
almeno"
"Perchè
essere anarchico è darsi delle regole prima che te le diano gli
altri"
“Fabrizio De Andrè –
Principe Libero” è un film per la televisione. Potremmo fermarci
qui come Manzoni con “Ei fu” nella poesia “Il 5 Maggio”. Però
anche in questo caso, due cose le vogliamo dire, nonostante di cose
se ne siano dette tante, sin troppe. Fissiamo due punti, in primis:
“Principe Libero” non è un docu-film (che ricostruisce un fatto
storico attraverso filmati e interviste) né un biopic (ricostruzione
fedele della biografia di un personaggio noto). E' una fiction, un
adattamento per la tv della vita di un grande artista. Il Faber
bambino, la sua famiglia borghese, le scorribande con Paolo
Villaggio, gli incontri importanti con Luigi Tenco e Alda Merini, gli
amori, l'ex moglie Puny e la sua Dori Ghezzi, i figli, il rapimento
in Sardegna, il temuto palco. Protagonista assoluto è Luca
Marinelli, David di Donatello per “Lo chiamavano Jig Robot”; la
Ghezzi ha il volto di Valentina Bellè già in Rai con la serie tv “I
Medici”, Ennio Fantastichini è Giuseppe De Andrè, il padre del
cantautore genovese, mentre Paolo Villaggio ha il volto di Luca Gobbi
(Made in Italy, Habemus Papam). Il 23 e 24 gennaio, il film tv è
stato proiettato in diverse sale cinematografiche per una durata di
circa 3 ore, poi suddiviso in due puntate andate in onda su Rai Uno il 13 e 14
febbraio.
Il De Andrè del regista
Luca Facchini, che ha ricevuto il beneplacito della famiglia del
cantautore, non è un De Andrè “comodo”, anzi. Chi si approccia
mediamente all'autore di “Bocca di rosa”, lo trova intollerante,
insofferente, perso dietro le gonne di facili prostitute, all'alcol e
al fumo in quantità smisurate. Una narrazione, soprattutto nella
prima parte, che rende quasi simpatica la borghese Puny, che il fan
di De Andrè conosce poco e forse male. Quello che emerge è un
rapporto “ambiguo” tra Faber e suo padre, un padre sì severo ma
che, a suo modo, lo aiutò... e Fabrizio non sempre lo comprese. Lo
fece tempo dopo, precisamente il 22 dicembre 1979, quando fu
sequestrato insieme a Dori dall'Anonima Sequestri sarda. Così come
non sempre comprese Cristiano che nella narrazione ha un ruolo
marginale. Una scelta probabilmente azzeccata ma evidentemente
comprensibile per alcune attuali dinamiche familiari, una fra tutte
la “Versione di C.”.
Temporalmente gli eventi si susseguono
veloci e così deve essere per sole due puntate. Sicuramente alcuni
fatti si accavallano rispetto alla realtà, ad esempio De Andrè non
tradì mai la prima moglie per la Ghezzi, che incontrò anni dopo la
fine del primo matrimonio. Ma così è, semplicemente perchè è
funzionale alla storia. Insomma, non è un De Andrè “politically
correct”, non vuole passare per il Santo che, sicuramente, non era
così come non lo è nessuno di noi. Eppure il rischio c'era, visto
che, come abbiamo detto, la famiglia che cura il patrimonio
del'artista ligure ha seguito passo dopo passo la realizzazione del
film. Non si può dire neanche che sia la visione di Dori Ghezzi,
considerato che il suo personaggio inizialmente appare come “femme
fatale”. Quando Marinelli/De Andrè siede sul palco, il modo con
cui imbraccia la chitarra, le movenze, lo ricordano in maniera
impressionante. Marinelli rende degno il suo personaggio, ne porta i
panni in tutti i sensi (i vestiti sono proprio quelli di De Andrè)
anche senza quella tipica imperfezione all'occhio. Anche quando lo canta,
Marinelli è misurato.
Ma passiamo alla voce. Da circa un mese si
susseguono le polemiche dei genovesi che ritengono che la voce del
loro concittadino, nella fiction (lo ricordiamo), è “troppa
romanaccia”. Da lì si è scatenato un tam tam di commenti anche
pesanti sui Social e di, a volte poco divertenti, ironie. E' chiaro
che l'attore abbia delle sfumature nel tono di voce che appartengono
alla sua terra natia, Roma per l'appunto, tanto quanto la tipicità
di De Andrè è proprio la forte appartenenza alle sue radici oltre
che diversi brani cantati in dialetto ligure e che il regista ha
evitato di far interpretare all'attore protagonista. Ma le polemiche
sono state eccessive e spesso fastidiose, visto che, lo ribadiamo
ancora una volta, non si tratta di un documentario ma della
trasposizione televisiva della vita di un artista. Quando anni fa la
Rai mandò in onda un film basato sulla vita e sull'arte di Rino
Gaetano, la produzione non fù così clemente, fatti e persone furono
omessi o inseriti appositamente. Ci furono polemiche subito sottaciute.
Ognuno di noi ha dentro di sè un Fabrizio De Andrè, che nessuno può spazzare via, nè una fiction, nè un racconto che vuole denigrarlo, nè una voce storpiata, perchè Faber ha mille voci, le nostre, di tutti coloro che lo cantano ancora oggi.
Se c'è una pecca, questa
potrebbe essere la colonna sonora che non interviene in maniera
piena, non pervade. Il finale è abbastanza rapido, senza troppe
“agonie”, senza troppe emozioni forti per chi ama Faber, "l'amico
fragile". Marinelli guarderà il suo De Andrè e De Andrè guarderà,
nell'ultimo storico concerto, chi gli ha prestato un volto ed una
voce, sì una voce, qualsiasi essa sia, per un istante. E in un attimo, solo un
attimo, “Volta la carta... e lui non c'è più...”
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